di Gigi Montonato
Io e Gianfranco Belfiore siamo amici da molti anni, non moltissimi; ma gli anni – si sa – sono fatti di tempo e possono essere lunghi quanto li si sente o li si vuol sentire. Siamo amici senza tempo.
La mia collaborazione a “La Carrozza” di Ruggero Vantaggiato mi portò un po’ di anni fa ad incontrarlo e a conoscerlo. C’era bisogno di una caricatura a corredo di un mio intervento sulla rivista. Lui me la fece. Risi di gusto benché basata su un mio difetto, la bassa statura. Rimasi stupito dalla fulminea sintesi con la quale mi aveva identificato nello strumento del mio essere pubblico. Mi raffigurò accanto ad una penna, che peraltro si arcuava per tenermi alla sua altezza, lasciando al pubblico di metterla o sulla mia piccolezza, non più di una penna, o alla mia grandezza proprio per quello che la penna poteva esprimere. Tertium datur: ero né più né meno la mia penna: la corda di un arco pronto a scoccare il dardo. Ognuno la leggesse a modo suo; comunque non si poteva non sorridere.
Non è che da allora io ami la mia statura, ma da allora l’ho accettata di più e meglio, per quei suoi portati di vita che fanno di ogni esistenza un microcosmo irripetibile di bene e di male, di vizi e di virtù, di successi e di frustrazioni. Mi accorsi sulla mia pelle, se si può dire, della forza sovvertitrice del disegnatore satirico, che sovverte l’umore di una persona, anche quando è lei la “vittima” designata e/o disegnata. Fino a quel momento avevo assistito per caso a persone, anche le più attempate e seriose, aprirsi ad un sorriso di fronte ad una vignetta di prima pagina di un giornale. Hai voglia a voler essere serio, in presenza di una certa situazione, reale o rappresentata! Si ride.