Queste istituzioni erano state create dai Francescani per venire incontro alle esigenze della povera gente a cui il Monte prestava dei soldi dietro garanzia di un pegno. I Monti di Pietà nacquero in Umbria e poi si diffusero nelle Marche, arrivando nel Seicento anche nel nostro Salento. I Francescani si erano ispirati ai banchieri ebrei, i quali però prestavano soldi dietro solidi interessi che non di rado diventavano usurai. Invece il fine dell’ente cristiano era quello di favorire i meno abbienti e quindi all’inizio non erano previsti interessi, oppure essi erano bassissimi, per non incorrere nel reato di usura, severamente condannato dalla Chiesa. Iniziarono poi, nel corso del Settecento, ad essere applicati interessi via via più alti, adeguandosi ai valori di mercato, sicché ad un certo punto questi Monti si trasformarono in veri e propri istituti di credito. Con l’invasione francese in Italia nell’Ottocento, i Monti vennero esautorati e fatti confluire nelle “Congregazioni di Carità”, ma poi con la Restaurazione essi riguadagnarono l’autonomia amministrativa e tutta l’importanza, anzi spesso intorno ai Monti si concentravano gli appetiti della classe borghese e di funzionari rapaci e corrotti. Durante il periodo francese, venne rivista l’organizzazione dello Stato e furono creati i Ministeri; le opere pie furono allora affidate alla competenza del Ministero dell’Interno. In generale, gli Stati preunitari cercarono comunque di istituzionalizzare le opere di beneficenza, facendo entrare il pubblico nella loro amministrazione. Nel 1862, la Legge sulle Opere Pie parificò i Monti agli enti assistenziali e in ogni Comune venivano istituite le Congregazioni di Carità, sorta di contenitori della beneficenza nei quali far rientrare tutte le opere pie, ancor meglio regolamentate dalla Legge del 1890 per l’organizzazione delle Istituzioni di pubblica Beneficenza e Assistenza (IPAB). Nel 1898, venne approvata una legge che riconosceva ai Monti di Pietà la doppia natura di ente caritatevole e anche ente di credito. Da quel momento, i Monti concentrarono in sé finalità assistenziali e bancarie, anche se una legge del 1923 operò una distinzione fra enti di prima categoria, ossia gli istituti di credito, ed enti di seconda categoria, ossia i Monti di Pietà veri e propri, enti di beneficenza. Anche gli ospedali nascono come enti caritatevoli, che davano alloggio a viaggiatori e pellegrini. Bisogna andare molto indietro nel tempo, fino ai primi secoli dell’era cristiana. Alcuni si caratterizzavano più propriamente come un ospizio per i poveri, altri come ostello (le odierne pensioni) per i devoti e i pellegrini che si recavano sulle strade della perdonanza o sui percorsi mariani. L’ “Hospitale” o “Ospitale”, dunque, non aveva i tratti di quello che noi intendiamo oggi con questo termine. Si trattava di ripari molto umili, alcuni persino ricavati in grotta, dove i viaggiatori potevano fermarsi per mangiare e bere e trascorrere la notte. Permanenze molto brevi, chiaramente. Dopo essersi rifocillati, i pellegrini riprendevano la marcia. Negli ostelli per i poveri, la permanenza poteva essere più lunga ma dai documenti risulta che spesso non dovesse superare i tre giorni, sebbene la carità degli ospedalieri lasciava che i pezzenti, i senza casa e i disperati si trattenessero molto più a lungo. Ad un certo punto, iniziarono ad accogliere anche i malati, fedelmente allo spirito della Controriforma, e quindi ad essere gestiti dagli ordini religiosi dei Teatini, dei Fatebenefratelli, degli Ospitalieri. Si trattava comunque di strutture sempre molto precarie, ben lontane dagli odierni standard normativi degli ospedali, dove i malati andavano più che altro per morire. Nel Salento, nell’Ottocento, questi Ospitali nacquero per iniziativa privata, grazie a signori facoltosi che vi riservavano una dotazione patrimoniale. Con la Restaurazione, essi vengono sottratti al clero e si giunge ad una completa laicizzazione delle Opere pie. Dopo alcuni interventi normativi sempre tesi a statalizzare le opere di beneficenza, sottraendole al controllo dei privati o del clero, con una Legge del 1937, si sopprimevano le Congregazioni di carità e in ogni Comune veniva istituito l’Ente Comunale di Assistenza (ECA).
Opere pie erano anche gli orfanotrofi, le elemosine, i monti frumentari, le confraternite. Così nascono anche le Scuole Pie, le prime istituzioni scolastiche, volute dai religiosi per educare la gioventù al culto cristiano e nel contempo fornire loro i primi rudimenti del sapere (essenzialmente scrivere e leggere). I precettori erano quasi tutti sacerdoti, attenti quindi alla cura delle anime prima che all’istruzione dei pargoli, i quali provenivano di norma dai ceti più umili della popolazione, avendo i rampolli delle facoltose famiglie la possibilità di istruirsi privatamente, attraverso precettori prezzolati. Una decisa sterzata nel senso della formazione e dell’istruzione dei ragazzi delle Scuole Pie viene data dai Frati Scolopi. Alla pietà cristiana, si devono anche i maritaggi delle zitelle, ossia delle fanciulle povere che non potevano costituirsi una dote in vista del matrimonio. Dunque, questi enti assistenziali si occupavano di costituire una dote che serviva alle nubende per contrarre matrimonio, grazie a benefattori, a volte anche anonimi, i quali determinavano un capitale dalla cui rendita si traeva la dote. Il legato era amministrato dal benefattore stesso o da religiosi ed andava incontro alle fanciulle anche per la monacazione. Come si vede, sempre finalità cristiane, alla base delle opere di bene, sia laiche che ecclesiastiche. Fra fine Settecento e Ottocento, si assiste ad un vero exploit anche della beneficenza privata: legati, donazioni, patronati, tutele, generose committenze. E in questo clima di rinnovata filantropia, si collocano anche le tre storie che vogliamo ripercorrere.
Salvatore Panareo, in “Il comune di Maglie dal 1801 al 1860”,[2] scrive: «lo spirito della beneficienza cittadina si era manifestato… sin da quando nel 1621 Donato Papuli aveva fondato il Monte dei Pegni», a cui seguirono poi i legati di Ignazio Ricci (1739) «a pro dei poveri bisognosi», di Giuseppe Onofrio Toma «per tre orfanaggi a donzelle povere ed elemosine» (p. 74). Nell’inverno del 1844, anno ricordato a lungo per la disoccupazione e la miseria diffuse, «il giovane Achille Tamborino fece venire dall’estero un carico di fave e Io dispensò agli abitanti» (p. 102). Come dire, la beneficenza e lo spirito di servizio sono proprio nel DNA del popolo magliese.[3]
FRANCESCA CAPECE
Nel suo testamento olografo, in data 5 novembre 1848, scrive: “Nomino ed istituisco erede universale in tutti li miei beni, diritti, azioni e raggioni, che mi competono, e mi potranno competere, la beneficenza, dico la Beneficenza di Maglie, mia Patria, acciocché facesse fiorire la religgione, e le lettere, occupandosi principalmente stabilire in detta mia patria luochi pii, e di pubbliga utilità come meglio crederà”. Fondamentale è la figura di Francesca Capece, Marchesa di Maglie e Duchessa di Taurisano, la quale ha lasciato alla sua cittadina una altissima testimonianza di amore. Nelle parole sopracitate, riposa “il sogno della duchessa”, come lo ha definito Vito Papa, nel suo imprescindibile volume.[4] Moltissimi sono gli autori che hanno dedicato i loro studi alla nobildonna, con particolare menzione per Salvatore Panareo,[5] e Alessandro De Donno[6], che furono fra i primi in ordine cronologico, e per Nicola De Donno, che è fra i primi per messe di contributi prodotti [7]. Ma fra le fonti più antiche occorre citare almeno Giuseppe Bonivento, con “Relazione generale sul Liceo Ginnasio di Maglie nel triennio scolastico 1912-1915”[8].
La Baronessa Francesca Capece (1769-1848), sposata col Duca Antonio Lopez y Royo, era donna generosissima, tanto che forse proprio a causa della sua eccessiva liberalità, alimentata dal fatto che ella fosse senza prole, ma anche a causa degli svariati interessi attirati dal suo patrimonio, la situazione economica della sua famiglia divenne disastrosa. Addirittura, dopo la famosa donazione, la duchessa venne privata della casa magliese e del modesto vitalizio e fu costretta a chiedere ospitalità in casa del Duca Frisari, suo parente, a Lecce, e successivamente si trasferì in un modestissimo alloggio che riuscì a prendere in affitto[9]. Ritornata a Maglie, e rientrata in possesso del Palazzo, si affidò all’avvocato Alessandro De Donno, il quale coi suoi giusti consigli la portò all’atto di donazione. Nella Capece, infatti, donna di grande sensibilità e umana compassione, si era delineata già da molto tempo l’idea di fare della beneficenza, realizzando un’opera pia, che lasciasse anche traccia del suo percorso. Ella voleva fondare un istituto religioso che venisse incontro alle esigenze della sua cittadina, uno “stabilimento di carità cristiana”, che, come idea iniziale doveva essere un ospedale. Successivamente volse le sue preferenze verso un ente che coniugasse insieme la beneficenza con l’istruzione. E in questo fu importantissimo il ruolo dei Padri Gesuiti che volevano costituire a Maglie un Collegio sul modello di quello operante a Lecce fin dal 1583. A convincere la duchessa fu lo stesso rettore del collegio leccese, Padre Sordi, riportato da Nicola De Donno, nella sua opera già citata, in cui tratteggia molto bene la figura di questo religioso[10]. Padre Sordi, nella citata memoria, sostiene che la duchessa fosse in un primo momento orientata a beneficare i suoi nipoti ed il suo stesso marito, ma poi cambiò idea o perché i suoi nipoti non si mostrarono molto attaccati a lei o perché ella ritenne che i loro beni fossero ancora abbondanti. Pensò allora allo Stabilimento di Carità Cristiana[11]. Nonostante ciò, molte furono le perplessità, i dubbi ed i ripensamenti della nobildonna. Ma alla fine la decisione giunse. “L’opzione religiosa era quella a lei più congeniale; essa poteva dare garanzie di impegno costante e di stabilità amministrativa e nello stesso tempo soddisfaceva un bisogno della duchessa, che era quello di incrementare le opere di culto e di religiosità a Maglie; il suo sogno, poi, era quello di aprire a Maglie una sede dell’ordine scelto. Così l’iniziale scelta a favore di un ospedale si lega a quella per i Figli di San Giovanni di Dio, detti Ospitaglieri, e successivamente a favore dei Figli di San Vincenzo de’ Paoli, in grado di garantire anche il vantaggio di confessare e predicare, che non era possibile con i primi. Ritardi e intralci rendono impraticabili queste due scelte, finché non compaiono sulla scena i Gesuiti.” [12] Padre Sordi seppe ben interpretare i desiderata della Duchessa e fu così che la Capece lasciò le proprie sostanze ai Gesuiti. Su di essi si appuntarono ben presto le antipatie della città di Maglie, in particolare di quell’alta borghesia più vicina alla Duchessa. Così scrive Vito Papa: “Oronzio De Donno, nel suo intervento del 30 maggio 1864 alla Camera, denuncia «uno dei tanti atti turpi compiuti da quei Reverendi Padri che osano appellarsi dí Gesù»; li definisce «genii del male», «corvi che ben presto si avvidero che in Maglie vi era una preda a ghermire». [13] In effetti, il compito di Padre Sordi non era facile e le polemiche talmente montanti che nel 1847, dopo otto anni di gestione dell’ente, venne sostituito da Padre Donato Maria Mortari. Giudizi contrastanti su Padre Sordi. Raffaele Cubaju nel suo scritto[14] lo definisce come un uomo dal tratto gentile, erudito e astuto, mentre la vulgata lo voleva uomo dispotico, autoritario e esclusivamente interessato alla gestione del patrimonio di Donna Francesca.
In realtà, non sempre i rapporti della città di Maglie con i Gesuiti furono negativi. Quando nel 1844 ebbe inizio la loro opera, con l’apertura del Convitto e della prima scuola di grammatica, questa era stata accolta di buon grado, in quanto nel paese era molto scarsa l’istruzione, affidata a pochi maestri pubblici normali, soprattutto prelati, come ricorda Emilio Panarese,[15] lo studioso che contende a De Donno il primato per la maggiore copia di studi magliesi[16]. Con la morte dell’ultimo istitutore, Nicola De Micheli, nel 1843, non c’era nessuno che si incaricasse dell’istruzione pubblica e i padri di famiglia con grande dispendio dovevano mandare i figli fuori ad istruirsi, pena il rischio, magari per giovani talentuosi, di restare nell’ignoranza. E d’altro canto, il Comune di Maglie, allora detto Decurionato, negli anni precedenti aveva speso molto soldi per opere pubbliche che, sebbene utilissime, avevano portato al dissanguamento delle casse comunali, e dunque non vi era la possibilità di provvedere all’istruzione, tanto che l’ultimo istitutore, riportato da Panarese, il domenicano Don Alfonso Valente[17], non poté restare a Maglie. Pure, il popolo era affamato di istruzione e la stessa classe borghese umanistica prendeva atto dell’urgenza di colmare questo vuoto. In questo clima, si può capire come venisse ben accolto il servizio reso dai Gesuiti. Fu per questo che la Duchessa, ben indirizzata da Padre Sordi, volle dare una decisiva svolta al proprio intendimento nel segno dell’istruzione, chiedendo ai Gesuiti di aprire non solo le scuole primarie, come le chiameremmo oggi, ma anche le scuole secondarie, dette “sublimi”, insieme al Collegio. E i Gesuiti erano infatti i detentori di questo primato, quello dei Collegi, che si erano sviluppati moltissimo nel corso del Settecento, contribuendo all’elevamento culturale degli italiani. Non dimentichiamo che proprio da questa tradizione gesuitica discende il Liceo Classico nelle forme in cui lo conosciamo oggi. E un Collegio, con annesso Convitto, voleva la Duchessa Francesca nel suo Palazzo, che potesse accogliere non solo i fanciulli magliesi, ma anche i tanti ragazzi provenienti da fuori Maglie, che per mancanza di mezzi difficilmente avrebbero potuto raggiungere quotidianamente la città per andare a scuola. Nel Collegio, si sarebbero dovuto insegnare le lettere, la matematica, la fisica, storia e filosofia, scienze, ecc. Vito Papa non manca di sottolineare l’importanza di questa scelta (anche del concetto più estensivo del Collegio dei Gesuiti rispetto alla semplice Residenza, verso la quale erano all’inizio orientati i Padri), da parte della Duchessa, e di come la cosa confermi che ella fosse donna di grande levatura morale e discreta cultura, e non invece ignorante come i detrattori volevano.[18] In effetti, ancora Panarese sembra cedere alla vulgata riportando un giudizio abbastanza impietoso su Donna Francesca, definendola “credulona, ingenua, di umore instabile”[19], sulla quale ebbero agio, secondo lo studioso, i rappresentanti della borghesia laica magliese, da sempre ostili ai Padri Gesuiti, nel convincerla che quella impartita dai religiosi fosse una educazione parziale, ristretta, deficitaria, perché legata solo ai primi rudimenti del leggere e scrivere, quindi alle classi più povere, mentre occorreva ampliare l’offerta formativa, dare cioè una istruzione superiore, che portasse ad allargare la platea dei fruitori, elevando l’età e anche l’estrazione sociale degli studenti. Perciò, quando nel 1848 i Gesuiti vennero scacciati, questi insinuatori portarono facilmente la Duchessa a cambiare i suoi voleri, e a scrivere un nuovo testamento.
In realtà, i Gesuiti erano sì portati all’insegnamento della religione, ossia a catechizzare i pargoli, conformemente alla loro naturale missione, ma non refrattari all’insegnamento delle discipline più alte, come dimostra la illustre tradizione dei loro Collegi e Convitti in tutta Italia. Sta di fatto che il clero e i notabili magliesi, avversi ai Gesuiti, puntando sulla presunta indifferenza dei Padri per le scuole di latinità, di cui a loro dire c’era assoluto bisogno, con malefiche allusioni, secondo Panarese, insinuarono nella ottuagenaria duchessa (forse ritenuta dallo studioso ormai rincitrullita a quella tarda età), “poco colta come era”,[20] la fittizia necessità delle scuole di alto grado e la spinsero ad aggiungere alla Convenzione del 1847 delle postille relative alle scuole di latinità. Queste erano fatte su misura per i ricchi, che avevano sempre dominato a Maglie, con poca attenzione per il popolo minuto, e la Capece finì proprio per fare il loro gioco, a discapito della povera gente, ossia la magna pars della popolazione magliese, che invece richiedeva i primi rudimenti, ossia leggere e far di conto, versando, come in tutto il Regno e specie nell’ Italia Meridionale, nel totale analfabetismo. Invece Vito Papa, che si basa sulle ricostruzioni di Padre Sordi, afferma che i Gesuiti accettarono di buon grado gli intendimenti della Duchessa, sebbene ciò comportasse un onere maggiore per loro. In effetti, le ostilità verso i Gesuiti venivano esclusivamente dall’aristocrazia magliese che aveva resistenze nei confronti dell’istruzione pubblica, perché in ciò vedeva un freno ai propri privilegi, e dunque non voleva allargare alla massa popolare i benefici che riteneva di propria esclusiva spettanza. I più accaniti detrattori dei Gesuiti furono il deputato Oronzio De Donno e l’avvocato Alessandro De Donno. Il popolo invece, come riferisce Nicola De Donno, era sempre stato favorevole ai Gesuiti. In L’origine e i primi incrementi dell’Istituto Capece, Nicola De Donno scrive che tanto fu importante la loro opera e tanto impellente e indifferibile la domanda di istruzione che veniva dal popolo, che egli ritiene di poter annoverare, fra i fondatori dell’Istituto Capece, oltre alla Duchessa, i Gesuiti stessi ed il popolo. [21]Nei Padri, il popolo vedeva “i portatori dell’istruzione e del progresso”.[22] Insomma, luci ed ombre sull’operato dei Gesuiti e soprattutto discordanza di tesi. Così vengono istituite le scuole di latinità: le classi di latino (divise in preparatoria, infima, media e superiore), si aggiungevano alle classi di grammatica, umanità, retorica e filosofia [23]. Questo allargava anche molto la base studentesca che veniva a frequentare il Collegio-Convitto, che divenne così popolare negli anni seguenti da assurgere a modello sia per la qualità degli studi che per la severa disciplina. Ma appunto gli insinuatori, per dirla con Panarese, ebbero la meglio e approfittando della prima cacciata dei Gesuiti, portarono la Capece a rivedere le proprie posizioni e si pervenne alla donazione alla Beneficenza magliese, col testamento del 5 novembre 1848. “Chi consigliò quell’atto”, scrive Alessandro De Donno, “e dettollo parola per parola alla nobile donna, fui proprio io, più che consapevole delle magnanime e pie intenzioni di lei; ed il feci, in presenza dei suoi domestici, dei quali vive ancora il buon Luigi La Noce, che può farne testimonianza”[24].
In quell’anno, i Gesuiti vennero cacciati dal Regno e i loro beni incamerati dallo Stato; ciò lasciò la Duchessa senza punti di riferimento e anche senza il vitalizio, che era la sua unica fonte di sopravvivenza. Fu di necessità giungere al testamento olografo del 1848, dettato da Francesca tre giorni prima della morte, redatto dal notaio Lorenzo Garrisi di San Pietro in Galatina. Con il testamento olografo la Duchessa dichiarava eredi universali la Beneficenza di Maglie, revocando la donazione ai Gesuiti. Nel 1849 i Gesuiti tornarono in città, intenzionati a riprendere la guida dell’ente e soprattutto a ridare ad esso la finalità educativa ed istruttiva primieramente stabilita. Così, in seguito alla scomparsa della Capece, i Padri poterono modificare ancora una volta lo statuto dell’ente. Si pervenne ad un nuovo documento che contemperava in qualche modo le esigenze dei Padri Gesuiti e quelle dei loro detrattori. Ma nel 1860 i Gesuiti vennero cacciati di nuovo e il loro ordine soppresso. Il Capece si trovò in balia delle onde.
Il Collegio chiuse e i suoi beni furono incamerati dal Fisco. Nel 1863, il Governo concesse la temporanea amministrazione dei beni al Comune. Venne ristrutturato il Palazzo, che versava in condizioni davvero critiche, e nel novembre di quell’anno venne riaperto il Collegio- Convitto, con grande soddisfazione dell’amministrazione comunale e del popolo magliese. Tuttavia, il Comune di Maglie rivendicava la proprietà del bene e ciò innescò una lunghissima battaglia con il Demanio per raggiungere questo obbiettivo. Già di fatto il Comune operava come proprietario del bene, dovendo provvedere alla sua onerosa gestione. A maggior ragione, si rivendicava una pertinenza esclusiva sull’intero Asse. Il cammino fu lungo e faticoso. Dopo il modesto risultato del 1863, ossia la concessione formale dell’amministrazione del bene al Comune, nel 1868, la cessione provvisoria al Comune, sia pure con il vincolo della inalienabilità del bene; nel 1871, viene ufficializzata con atto notarile la cessione da parte del Real Governo, che diviene così definitiva. Nel 1877, con l’Amministrazione guidata dal Senatore Achille Tamborino, si ottenne il pareggiamento del Ginnasio-Convitto che nel frattempo versava in condizioni finanziarie davvero critiche, come i Direttori che si sono succeduti lamentavano. In ispecie il Direttore Antonio Cadei parla di “ scadimento morale ed intellettuale del convitto e del ginnasio”.[25] Nel 1880, con la direzione di Pietro Pellizzari le cose iniziano a migliorare, anche se la vita del Ginnasio-Convitto è ancora molto travagliata e permane nella instabilità, a causa delle continue defezioni degli insegnanti e della perdita di alunni. Ciò che ingenerava molta confusione era la bipartizione delle competenze, fra quelle del Convitto e quelle del Ginnasio, con due bilanci e due amministrazioni diverse. Nel 1885, viene finalmente stipulato fra il Comune e il Demanio lo scioglimento del vincolo di inalienabilità del bene. Ma se si conclude la battaglia fra Comune di Maglie e Demanio, ne inizia una intestina a Maglie per l’autonomia dell’Ente Capece dall’Amministrazione Comunale. Di questa battaglia, ancora una volta, si fecero interpreti l’avvocato Alessandro De Donno e il deputato Oronzio De Donno, i quali sostenevano che il patrimonio della Capece non potesse essere preda della cattiva amministrazione del Comune, cosa che ne avrebbe snaturato gli obbiettivi, ma dovesse essere un ente autonomo a gestire al meglio il lascito, rispettando quelle finalità di educazione ed istruzione che nel frattempo erano venute meno, con grave perdita, sia economica che di prestigio, dell’ente stesso. Lo scontro si fa talmente acceso che degenera in tafferugli e sommosse di piazza. Ma alla fine si arriva alla resa dei conti e la borghesia umanistica magliese ha la meglio sul Comune che nel 1887 è costretto a rinunciare al controllo dell’Istituto, che viene riconosciuto autonomo e con Real Decreto n.2583 del 22 maggio 1887 “il Pio Istituto Capece del Comune di Maglie” viene eretto in “Corpo Morale”[26]. Solo nel 1889 però, a causa dei continui tentativi di dilazione del Comune, si arrivò ad uno Statuto autonomo. Come spiega Alessandro De Donno,[27] il Consiglio Comunale fece passare molte sedute prima di arrivare all’approvazione. L’istituto Capece aveva così finalmente una gestione autonoma ed un proprio Consiglio di Amministrazione del quale fu eletto primo Presidente Giovanni Cezzi. Attraverso una lunga storia il sogno della Duchessa è divenuto il glorioso Liceo Capece che oggi noi conosciamo.
Ma tornando all’impietoso ritratto della Duchessa Capece di cui si è detto prima, come abbiamo visto, lo stesso Panarese dubita della cultura della nobildonna. Anche in questo caso, però, vi sono versioni discordanti fra gli studiosi. Da altri testi, sembra che la Capece non fosse affatto quella donna ignorante che voleva la vulgata, ma al contrario una persona di ottime letture e raffinata cultura. Un’educazione, la sua, certo fortemente influenzata dalla religione; come scrive Salvatore Panareo: “ Un’educazione impartita da preti che avevano pensato più che altro a svilupparle il sentimento religioso».[28] Ma la riabilitazione della Duchessa Capece si ha con un saggio degli studiosi Cosimo Giannuzzi e Vincenzo D’Aurelio, dal titolo La figura di Francesca Capece e l’origine dell’istruzione pubblica a Maglie, contenuto nella edizione n.10 dei “Quaderni del Liceo” Capece, dal titolo “Il Regio Liceo-Ginnasio F. Capece di Maglie: ricerche e studi”, a cura del prof. Vito Papa, all’epoca preside dell’Istituto, e presente anch’egli nel volume con un saggio dal titolo Centralità culturale e rappresentatività politica nel periodo fascista: il Regio Liceo Ginnasio Francesca Capece di Maglie.[29] Il contributo di Giannuzzi e D’Aurelio, prende le mosse da un articolo dello stesso Giannuzzi, apparso nel 2000 su “La Gazzetta del Mezzogiorno”, in occasione del centenario dell’inaugurazione del monumento a Francesca Capece, ubicato nella centrale piazza A. Moro di Maglie. [30] Nel saggio, i due studiosi smentiscono il giudizio comunemente accettato sulla Capece di donna poco colta o quasi del tutto illetterata. Prima di tutto, infatti, Francesca Capece, ricevette da piccola, insieme alla sorella Geronima, l’istruzione da un precettore fra i migliori dell’epoca, e cioè Francesco Saverio De Rinaldis, celebre poeta salentino e rinomato maestro di lettere e religione. [31] I due studiosi hanno inoltre ritrovato un documento di grande interesse: un testo teatrale, di natura comica, ovvero una farsa, di fine Settecento, dell’autore veneziano Vettor Cornér, dedicato a Francesca Capece, allora trentenne. Denominato Il Cieco, questo testo, facente parte di un’opera dal titolo “Il Teatro Moderno Applaudito” è conservato presso l’Accademia dei Filodrammatici di Milano. E’ evidente, secondo gli autori, che non si dedica un’opera intellettuale ad una persona incolta, se non altro perché essa non avrebbe avuto modo di valutarla; essi ritengono che Francesca Capece non solo apprezzò la dedica, ma anzi salvò l’opera da un possibile smarrimento facendola rappresentare a Venezia dalla compagnia del capo-comico Antonio Goldoni. Questa proposta di variazione nel giudizio, unita al dato incontestabile che la nobildonna ha avuto in casa un importante precettore, Francesco Saverio de Rinaldis, possono davvero riformulare la visione storica della benefattrice e dell’ambiente sociale nel quale essa ha vissuto.
Come scrive Vincenzo d’Aurelio, in un articolo dal titolo Francesca Capece: l’ignorante fondatrice degli studi in Maglie,[32] apparso sul web, il sommario giudizio di“sempliciona e ignorante” viene in primis dalle “Memorie su l’origine e le vicende dell’Istituto scolastico Capece” di Alessandro De Donno, il quale, sia per l’affetto nutrito verso la duchessa e sia per essere il suo esecutore testamentario, è stato considerato attendibilissimo da tutti gli storici che si sono avvicendati, compreso Salvatore Panareo (1872-1961) il quale scrive che “la baronessa era infarinata di una cultura sufficiente e utile all’amministrazione dei propri beni […anche] se rimase illetterata tanto che sapeva appena mettere sulla carta i propri pensieri e la firma” Ma, si chiede D’Aurelio, che cosa significava cultura per il De Donno e in generale nell’ambiente ottocentesco in cui egli operava? Seguendo le sue stesse parole: “Su questa interpretazione del significato di cultura, io e Cosimo Giannuzzi nel nostro studio “La figura di Francesca Capece e l’origine dell’istruzione pubblica a Maglie” (Maglie, 2010) ci siamo molto dibattuti giungendo alla conclusione che il giudizio di ignoranza dettato dal De Donno altro non esprime che il mancato o irregolare cursus scolastico di Francesca Capece. Per tale motivo, spinti dalla formulazione antropologica di cultura, abbiamo proposto una revisione del tradizionale e ingiusto, a parer nostro, giudizio. A questo si aggiunga come molto spesso negli scritti che trattano della cultura della baronessa magliese, non si tiene conto dei giudizi espressi da Augusto Chiesa, direttore del Ginnasio sino al 1900, e dal prof. Angelo De Fabrizio. I due, nel numero speciale de “L’Avvenire” del 29 luglio 1900, si esprimono in modo completamente opposto a quello del De Donno. Il primo riferisce che F. Capece era “colta e generosa, innamorata dei versi di Virgilio”, mentre il secondo la definisce “erudita e colta, innamorata di Dante e soprattutto di Virgilio di cui sapeva a memoria tutta l’Eneide.” Sono questi, dunque, i presupposti per motivare una Francesca Capece non del tuttoignara della cultura classica e principalmente di quella che il tempo dell’Illuminismo infondeva negli animi di ogni individuo e classe sociale. Tuttavia il presupposto dovrebbe, dal punto di vista storico, essere sempre fondato su prove documentarie che tutti gli studiosi precedenti hanno, nostro malgrado, omesso di rendere note (se esistono!). Il nostro ritrovamento, invece, di una farsa del 1798 dal titolo “Il Cieco” messa in scena al Teatro Carlo Goldoni di Venezia (ex San Luca), e che la stessa “sistemò e mise a nuova foggia assieme ad altre sue teatrali sorelle” e pubblicato nello studio sopradetto, pone un tassello inamovibile nel mosaico dei dubbi circa il giudizio d’ignoranza della nostra baronessa magliese. La farsa è la testimonianza diretta degli influssi che la cultura del tempo, quella illuminista, ebbe su Francesca Capece e basterebbe la lettura di questo componimento per rendersi conto di quanti rimandi al pensiero del tempo in essa emergono. In seconda analisi non è da sottovalutare la figura di don Saverio De Rinaldis(1732-1817) di Surbo che fu, secondo Luigi Maggiulli (1828-1914), il precettore di Francesca Capece e sua sorella Geronima”. [33] Comunque, al di là del suo grado di istruzione, certamente la Duchessa Capece è passata alla storia per la sua misericordia, come sostiene Lina Leone, che le dedica un recente saggio, e le opere di questa misericordia sono forti e durature[34].
CONCETTA ANNESI
Continuiamo la nostra rassegna con la figura di Concetta Annesi, fondatrice dell’Orfanotrofio femminile a lei intitolato. Molto più scarse sono purtroppo le fonti sulla Annesi e sulla Tamborino, rispetto alla Capece.
Nell’atrio del Palazzo municipale di Maglie campeggia un’epigrafe che rende omaggio alle tre benefattrici: “Nel centenario dell’attribuzione / del titolo di città /a questo nobile comune/ additano alla memoria/ dei posteri/ Concetta Annesi/ Francesca Capece/ Geronima Capece/ Michela Tamborrino/ anticipatrici dell’ambito riconoscimento/ e dello sviluppo civile e sociale/ della comunità cittadina/ Maglie 20 ottobre 1990/ I Lions di Maglie/ ermanno Inguscio, Maglie città (1890-2003), in Note di storia e Cultura Salentina, XIV 2002 pp.63-70
La Annesi (1749-1831) fu la pioniera fra le tre donne a dar lustro alla città. Prima che se ne occupasse Emilio Panarese in Concetta Annesi e i Pirtoli,[35] la Annesi era considerata una donna umile, con scarsa istruzione. In realtà, Panarese dimostra attraverso documenti di archivio che Concetta era stata educata dal Sacerdote Pirtoli, di cui era nipote. Don Pasquale, morto quasi centenario nel 1802, uomo di grande cultura, dottore in diritto civile e canonico, apparteneva ad una famiglia molto ricca, quella dei Pirtoli appunto, che possedeva svariati immobili, e alla sua morte lasciò alla diletta nipote il vasto patrimonio. Donna Concetta, da parte sua, cercò di far fruttare la ricchissima eredità ed essendo vedova e senza figli, volle che questo patrimonio alla sua morte fosse destinato alla fanciulle povere magliesi, dichiarando, come si legge nel suo Testamento, erede generale il Comune di Maglie che avrebbe dovuto far erigere un orfanotrofio “di fanciulle povere e orfane nate da legittimo matrimonio”. Se, come abbiamo visto, tre giorni prima della morte Francesca Capece aveva dettato le proprie volontà, lo stesso fece Concetta Annesi la quale, quattro giorni prima della dipartita, nel 1831, dettò il testamento al notaio Francesco Maria Monosi. Dopo una consistente ristrutturazione della casa della Annesi, l’orfanotrofio venne inaugurato nel 1854 e venne affidato alle cure delle suore francesi Figlie della Carità. Queste suore iniziarono una intensa attività educativa e religiosa che non tardò a portare i suoi frutti. Nel 1855 una delibera fissa nel numero di dieci le orfane che possono essere accolte nella struttura previo sorteggio, con una cerimonia che si tiene la terza domenica di ottobre, festa della Vergine della Purità, secondo i voleri della Annesi. Nel 1858, viene inaugurato il Convitto o Educandato femminile per le fanciulle benestanti.[36]
Importantissimi furono i primi lasciti, dovuti a Geronima Capece, marchesa di Canosa, nel 1845, e della sorella Francesca, nel 1848, tanto che l’Orfanotrofio prese il nome di “Annesi-Capece”. Del pari importanti, le donazione di Michela Tamborino, per il mantenimento di tre orfane in perpetuum, (come si vede si intreccia strettamente il cammino delle tre benefattrici alle quali, non a caso, abbiamo dato l’appellativo di tre grazie), della Contessa Luisa Frisari Tamborrino, ecc.[37] Una prima ricognizione viene fatta da Marisa Perrone che pubblica un Inventario dell’archivio Storico Dell’orfanotrofio Femminile Annesi – Capece in Maglie [38]. Nel saggio, con Introduzione di Domenica Massafra, la studiosa, dopo un breve cenno storico sull’Orfanotrofio, ne elenca i principali benefattori e poi passa in rassegna tutta la sua dotazione.[39]
Interessante leggere la lista delle opere pie amministrate dalla Congregazione di Carità di Maglie nell’Ottocento, riportate dalla studiosa in margine al suo saggio, per capire, ancora una volta, come la beneficenza fosse davvero in quel secolo il cuore pulsante della città di Maglie.[40]
L’Orfanotrofio, amministrato dalla locale Commissione di Pubblica Beneficenza sino al 1862 nello stesso anno, con la legge del 3 agosto n. 753 e Regolamento del 27 novembre, passa alla Congregazione di Carità, la quale nel 1875 si dà un proprio Statuto. Dal 1937 al 1940, ai sensi della legge del 3 giugno 1937 n. 847, è amministrato dall’E. C. A. “Ha un’amministrazione insieme all’Ospedale Michela Tamborino, ma con contabilità distinte, sino al 16 luglio 1970, allorché in virtù della legge 12 febbraio 1968 n. 132, l’Ospedale, essendo stato dichiarato con D.P.R. del 4 febbraio 1969 n. 533 Ente Ospedaliero di Zona, ha un proprio Consiglio di Amministrazione. Il vecchio Consiglio di Amministrazione insediato il 7 febbraio 1966 è incaricato, con lettera prefettizia del 9 luglio 1970, n. 913, di continuare la gestione dell’Orfanotrofio. Il 25 novembre 1970, si insedia la prima Amministrazione autonoma, presidente Dina Colucci”.[41] E proprio la professoressa Dina Colucci, già docente del Liceo Capece e valente studiosa del Galateo, riporta Il Testamento di Concetta Annesi, fondatrice dell’orfanotrofio Femminile a Maglie.[42] Si tratta della prima edizione del testamento redatto dal notaio Francesco Maria Minosi, lo stesso giorno dei funerali di Concetta, l’8 giugno 1831, e conservato presso l’Archivio storico dell’Istituto “Annesi-Capece”, mentre l’originale è conservato nell’Archivio di Stato di Lecce. Da notare che la Colucci scrive che alla Commissione Amministrativa di Beneficenza del Comune di Maglie, Concetta Annesi chiese che si unissero ai fini di una maggiore vigilanza i fratelli Antonio e Michele Lopez e l’Arcidiacono Abate, segno di una scarsa fiducia riposta dalla Annesi negli amministratori pubblici.[43]
MICHELA TAMBORINO
Anche Michela Tamborino, nata nel 1820 e morta a soli 51 anni il 1872, sorella di Achille Tamborino, primo senatore di Maglie, aveva un sogno: quello di far nascere un ospedale per i poveri. A questo progetto dedicò la proprie risorse materiali ed immateriali. Lasciò infatti alla Congregazione di Carità di Maglie tutti i propri averi. Stilò ben tre testamenti, due olografi (nel primo lasciava le sue sostanze ai poveri e nel secondo alle fanciulle orfane) e un altro, rogato dal notaio Federigo De Donno, poiché lei versava in pessime condizioni di salute.[44] Con quest’ultimo testamento, si istituiva la nascita dell’Ospedale, come luogo di cura per poveri, orfani, indigenti, senzatetto, ecc. Affidò la cura dell’istituto alle suore Figlie della Carità ma sotto la vigilanza del fratello Achille e in caso di morte di costui, comunque di un componente della famiglia Tamborino e questa diffidenza la accomuna a Concetta Annesi la quale mise a vigilare i fratelli. Stabilì pure che tre orfane, estratte a sorte dalla Congregazione di Carità, venissero mantenute a sue spese nell’Educandato Annesi-Capece. Michela Tamborino viene descritta da Panarese come una donna di gran cuore, ma di scarsa cultura.[45] Fu così che nacque L’Opera Pia Ospedale Tamborino, che sei anni dopo la morte della benefattrice fu trasformato in Ente Morale con Regio Decreto del 25-07-1872.[46] Come sede dell’ Ospedale venne scelto l’antico convento francescano che fu adattato, su progetto dell’ingegnere alessanese Luigi Torsello, alle nuove esigenze.[47] In realtà l’impresa non fu così facile perché a partire dal 1872 i lavori di restauro ed ampliamento si protrassero oltremodo e nel 1879 vennero anche sospesi a causa dell’estrema fragilità delle mura. Ripresero l’anno dopo, per essere terminati nel 1885 con il collaudo da parte dell’ingegnere del genio civile Eugenio Pasanisi. Nel 1886, l’Ospedale viene finalmente inaugurato con grande pompa. Come sappiamo, già la Duchessa Francesca Capece, indecisa sulla destinazione dei propri beni, aveva inizialmente pensato di realizzare un Ospedale. Riferisce Padre Sordi, responsabile dei Gesuiti al tempo: “E perciò volle da prima fondare un Ospedale in Maglie, spinta a ciò dal sentir, che faceva da varii pii, e caritatevoli Confessori, lo stato deplorabilissimo in cui si giacevano i poverelli quando ammalavano per l’abitazione, pel vitto, e per l’assistenza…”[48]. Salvatore Panareo infatti scrive che l’idea di fondare un ospedale a Maglie era fortemente sentita già dal primo Ottocento e divenne preponderante a metà del secolo, precisamente nel 1849, quando scoppiò una grave epidemia di colera nel Regno di Napoli per cui l’offerta della Capece veniva accolta di buon grado per poter trasformare il suo Palazzo in lazzaretto.[49] Purtroppo, dopo l’inaugurazione dell’Ospedale, iniziano i primi dissapori a causa della presunta cattiva gestione dell’ente, che già pochi anni dopo la nascita è oberato dai debiti e viene chiuso nel 1890 dall’Amministrazione Comunale, con inevitabile strascico polemico e giudiziario.[50] Nel 1897 l’Ospedale viene riaperto per tornare dopo pochi anni in deficit e a rischio fallimento. Di nuovo sorgono aspre polemiche e dure critiche vengono rivolte agli amministratori della Congregazione di Carità che gestiscono gli enti di beneficenza magliesi, in maniera poco accorta, a detta dei detrattori, e parassitaria, se non addirittura criminogena. Solo con la gestione Lenoce-Starace vengono ripianati i debiti e l ‘Ospedale comincia di nuovo a riprendersi, anche grazie a nuove donazioni da parte dei più facoltosi magliesi[51]. L’Ospedale diventa sempre più attrezzato ed efficiente fino a diventare, dopo la Seconda Guerra Mondiale, una struttura di primissimo piano.
Michela Tamborrino sposò il ricco possidente Vito Circolone , definito da Panarese spirito bizzarro ed anticlericale,[52] al quale si deve tra l’altro la fondazione dell’Istituto Agrario magliese, sorto per suo legato.[53] Anche nel caso della Tamborino, molte furono le ingerenze da parte dei famigliari che volevano distrarre la benefattrice dal nobile proposito, ma la donna si dimostrò determinata e a buon diritto viene fatta rientrare tra le personalità più illustri della cittadina. Scrive Panareo: “La Fondazione dell’Istituto Capece cade fra due altre istituzioni che onorano la nostra città e si devono a due altre donne: L’Orfanotrofio femminile dovuto nel 1831 a Concetta Annesi e l’Ospedale, alla cui fondazione poco più di settant’anni or sono legò parte del suo patrimonio Michela Tamborino. Così furono le donne di Maglie che particolarmente fecero vibrare la nota della beneficenza, in nobile e santa gara nel provvedere alle necessità e all’elevamento dei loro concittadini. Bisogna ricordarsene sempre e benedire alla memoria di queste tre gentildonne, le quali, al di là di ogni comune concezione, intesero come una religione la bellezza e la grandezza derivanti dal diffondere il bene ai miseri e il sapere a quanti ne fossero desiderosi”.[54] Nella Chiesa di S. Maria della Scala, sull’altare maggiore, in cornu evangelii, vi è un monumento che conserva le ossa di Michela Tamborino, con un ritratto in altorilievo della benefattrice, opera dello scultore Giuseppe Mangionello[55] ed un’epigrafe che recita: “Nelle ceneri lacrimate/ di / Michela Tamborino / esempio di carità cittadina / custode questo marmo / della pia memoria / il caldo cuore del popolo / perennemente / la Congregazione di Carità / di Maglie / nel L.Mo dalla morte / pose.” L’epigrafe fu dettata dal prof. Francesco Macrì-Leone[56] nel 1886 in occasione dell’apertura dell’ospedale e del XIV mo della morte della Tamborino. Ma successivamente, quando per alcuni anni l’ospedale venne chiuso, il monumento e l’epigrafe (alla quale fu cambiata la data da XIV.mo a L.mo) vennero trasferiti nella chiesa[57].
La filantropia, dunque, di cui paradigmatici gli enti di beneficenza che in questo scritto abbiamo passato in rassegna, scrive, specie nell’Italia meridionale, una pagina di storia patria degna di essere raccontata, non tanto agli studiosi, che disporranno di una enorme bibliografia sulla materia, quanto ai non addetti ai lavori, che magari militano in onlus ed associazioni di volontariato, che avranno piacere di sapere di questi loro illustri predecessori.
[1] Alfredo De Donno, Donne magliesi pioniere di educazione civica, pubblicato in “Rassegna trimestrale della Banca Agricola Popolare di Matino e Lecce”, Anno 2, N.1, Matino, marzo 1976, pp. 95-97.
[2] Salvatore Panareo, Il comune di Maglie dal 1801 al 1860, Maglie, Tipografia Messapica, 1948, p. 12.
[3] Per una breve bibliografia degli enti di beneficenza e le opere pie nel Salento, vedi:
Pantaleo Palma, Beneficenza ed assistenza pubblica in Scorrano nei sec. XIX-XX, in Ricerca storica e occupazione giovanile. Le fonti archivistiche per la storia del Mezzogiorno nell’età contemporanea, atti del convegno (Lecce, 27-28 ottobre 1981), a cura di C.G. Donno e V. Pellegrini Lecce, Ed. Milella, 1983, pp. 131-140;
Pantaleo Palma, Peste e paura: istituzioni e società tra provvedimenti di sanità e crisi epidemiche in età moderna, in Società, congiunture demografiche e religiosità in Terra d’Otranto nel XVII secolo, Atti della prima giornata di studio (Lecce, 15-16 aprile 1988), a cura di B. Pellegrino e M. Spedicato, Galatina, Congedo ed., 1990, pp. 457-489;
F. Costantini e C.A. Dell’Anna, Pietà cristiana e beneficenza legale. Tre secoli di opere pie a Leverano (Secc. XVII-XIX), Cavallino, Capone Editore, 2005;
Francesco De Paola: Forme di solidarietà e carità cristiana nella Salve del ‘500. Note su tre inediti documenti d’archivio, in “Annu novu salve vecchiu”, N.XVI, Alessano, Publigraf, 2006, pp.41-54;
Vincenzo D’aurelio, Il Monte dei Pegni di Donato Pappuli e il suo Altare del Precursore della Matrice di Maglie, in |
in “Note di Storia e Cultura Salentina”, Società di Storia Patria per la Puglia, Sezione Basso Salento “Nicola De Donno”, vol. XXII, 2012, Lecce, Edizioni Grifo, pp. 49-94;
Gruppo di Volontariato Vincenziano Maglie, Cent’anni di carità (1911-2011). Documenti e ricordi di vita vincenziana a Maglie, a cura di Gioconda Mele, Galatina, Editrice Salentina, 2012;
Elio Pindinelli, Luoghi pii e beni ecclesiastici a Gallipoli nel XVIII secolo, in “Rassegna storica del Mezzogiorno”, n. 1, 2016, pp. 113-114;
Antonio Bergamo, Spazio per l”A/altro. La misericordia come dimensione teologica ed esistenziale fondamentale , in “L’Idomeneo, Miserere nobis: aspetti della pietà religiosa nel Salento moderno e contemporaneo. Atti del convegno di studi”, Società Storia Patria sezione Lecce, n. 22, Lecce, 2016, pp. 9-16;
Alberto Zonno Renna, Misericordia: riconoscimento e amore nel paradosso del dono, Ivi, pp.17-28;
Ruggiero Doronzo, Ab ore ad aurem: la comunicazione senza misericordia, Ivi, pp.29-36;
Gianpaolo Lacerenza, Misericordia e coscienza morale nei percorsi di recupero dei carcerati, Ivi, pp. 37-48;
Hervé A. Cavallera, La Misericordia che si fa prassi educativa. San Filippo Smaldone, Ivi, pp. 49-60;
Alfredo di Napoli, I cappuccini in Salento. Testimoni e apostoli di misericordia (secoli XVI-XVII), Ivi pp. 61-78;
Aldo Caputo,Lo Spedale dello Spirito Santo di Lecce. Indagine economica e storica su una struttura caritativo-assistenziale, Ivi, pp. 79-124;
Vittorio Zacchino, Penitenza e pellegrinaggio al Crocefisso della Pietà di Galatone in antico regime, Ivi, pp. 125-132;
Francesco Potenza, Orfanaggi e maritaggi in diocesi di Nardò tra Cinque e Seicento, Ivi, pp. 133-150;
Pantaleo Palma, I Legati salentini per misericordia tra antico regime ed età contemporanea, Ivi, pp. 151-168;
Giovanna Bino, Nelle carte d’archivio salentine… sulle orme della misericordia, Ivi, pp. 181-192;
Francesca Cannella, La Pietà illustrata. Simboli musicali e figure allegoriche nella Puglia vicereale, Ivi, pp. 193-208;
Paolo Agostino Vetrugno, Ineffabil misericordia: riflessioni e spunti per un repertorio iconografico delle opere caritative in Terra d’Otranto, Ivi, pp. 209-228;
Maria Antonia Nocco, Modelli celebri per la tela con La Madonna della Misericordia di Calimera, Ivi, pp. 229-246;
Angelo Lazzari, Orfanotrofio “Ciullo” in Castro agli inizi del Novecento, Ivi, pp. 247-258;
Ercole Morciano, Misericordes sicut Pater. Mons. Giuseppe Ruotolo e il Villaggio del Fanciullo a S. Maria di Leuca negli anni ’50-’60 del Novecento, Ivi, pp. 259-274; Rodolfo Fracasso, Sanità e Misericordia. 50 anni dell’Azienda ospedaliera “Cardinale Giovanni Panico” di Tricase (1967-2017), Ivi, pp. 275-286; S. Giampà, G.L. Turco, M.C. Presicce, M.L. Rossetti, L. Farenga, Il Salento: spazio di dialogo e accoglienza, Ivi, pp. 287-298; Lina Leone, Francesca Capece: da “Stabilimento di carità cristiana” a “Fondazione”, Ivi, pp. 299-304; Giancarlo Piccinni, Con viscere di misericordia, Ivi, pp. 305-308; Sergio Fracasso, Il progetto fallito dell’Orfanotrofio San Francesco (poi Istituto Margherita di Savoia) e il problema dell’infanzia abbandonata alle soglie del decennio francese, in “Quando Ippocrate corteggia la Musa. A Rocco De Vitis medico e umanista”, a cura di Francesco De Paola e Maria Antonietta Bondanese, Società Storia Patria sezione Lecce, “Quaderni del L’Idomeneo”, Lecce, Grifo, 2017, pp.305-319; Vincenzo D’aurelio, Il Monte dei Pegni di Donato Pappuli e il suo Altare del Precursore della Matrice di Maglie, in |
“Note di Storia e Cultura Salentina”, Società di Storia Patria per la Puglia, Sezione Basso Salento “Nicola De Donno”, vol. XXII, 2012, Lecce, Edizioni Grifo, pp. 49-94.
[4] Vito Papa, Il sogno della duchessa. Profilo storico di Francesca Capece e del suo ‘Stabilimento di carità cristiana’ , Fondazione Capece, Galatina, Editrice Salentina, 2010. A questo volume è seguito, sempre ad opera di Vito Papa, già Preside del prestigioso Liceo Capece: L’alba di un sogno. Francesca Capece, l’ ‘impareggiabile benefattrice’. Dramma storico in cinque atti con prologo, Centro Studi Capece, Galatina, Congedo Editore, 2014, in cui l’autore mette in scena la vita della nobildonna in forma romanzata.
[5] Salvatore Panareo: La Duchessa Francesca Capece, fondatrice degli studi in Maglie (1769-1848), Maglie, Tipografia Capece,1900, ristampato a cura dell’Amministrazione Comunale di Maglie, Erreci Edizioni, Maglie, 2000; Relazione sul 1° corso d’una scuola normale promiscua istituito in Maglie nell’anno 1914, Maglie,Tipografia Messapica, 1915; Discorso tenuto nel I centenario della fondazione dell’Istituto Capece, Maglie, Tipografia Messapica, 1943; Il comune di Maglie dal 1801 al 1860, Maglie, Tipografia Messapica, 1948; allo studioso la professoressa Dina Colucci dedicò un profilo, Salvatore Panareo e un cinquantennio di studi storici nel Salento, contenuto in “Quaderni del Liceo Capece”, II, Edizioni del Liceo Ginnasio Capece di Maglie, Galatina, 1961
[6] Alessandro De Donno: Memorie su l’origine e le vicende del Pio Istituto Scolastico Capece di Maglie, Lecce, Editrice Salentina, 1900.
[7] Nicola De Donno: Lo Studente magliese: notizie ed indici, in “Quaderni del Liceo Capece”, II, Edizioni del Liceo Ginnasio Capece di Maglie, Galatina, 1961, L’origine e i primi incrementi dell’Istituto Capece, in “Quaderni del Liceo Capece”, III, Edizioni del Liceo Ginnasio Capece di Maglie, Arti Grafiche Ragusa-Bari, 1966, . Quest’ultimo scritto riporta l’intervento che Nicola De Donno tenne nell’anno scolastico 1963-64 in occasione del primo anniversario della riapertura del Liceo dopo l’Unità e contiene in Appendice, la “Narrazione di Padre Sordi”; Scuola e sviluppo sociale in un comune del Salento nel sec.XIX (Maglie), in “Rassegna Pugliese”, anno V, N.1-3, gennaio-marzo 1970, p.58; con Emilio Panarese, Le strade di Maglie, Via Pietro Pellizzari, in “Tempo d’oggi”, Anno II, N.7, Maglie, 1975; Pietro Siciliani e “Lo Studente magliese”, in “Contributi” ,Storia Patria per la Puglia, sezione Maglie, Anno V, N.3-4, settembre-dicembre 1986, Galatina, Congedo, 1986.
[8] Giuseppe Bonivento, Relazione generale sul Liceo Ginnasio di Maglie nel triennio scolastico 1912-1915, Tipografia Messapica, Maglie, 1915.
[9] Vito Papa, Il sogno della duchessa. Profilo storico di Francesca Capece e del suo ‘Stabilimento di carità cristiana’, Fondazione Capece, Galatina, Editrice Salentina, 2010, p.19.
[10] Nicola De Donno, L’origine e i primi incrementi dell’Istituto Capece, in “Quaderni del Liceo Capece”, III, Edizioni del Liceo-Ginnasio Capece di Maglie, Arti Grafiche Ragusa – Bari, 1966, Appendice. La “Narrazione di Padre Sordi” viene pubblicata anche su “Il nuovo studente magliese”, a cura di Fernando Cezzi, n.6, Maglie, 1964.
[11] Nicola De Donno, “Narrazione di padre Sordi”, in op.cit., p.37.
[12] Vito Papa, Il sogno della duchessa cit., p.26.
[13] Ivi, p.28.
[14] Raffaele Cubaju, Francesca Capece, in “Regio Liceo Ginnasio Francesca Capece- Annuario 1923-24”, Tipografia Capece, Maglie, 1925, p.3.
[15] Emilio Panarese, Cenni storici sullo sviluppo dell’istruzione pubblica a Maglie dall’Unità ad oggi (1861-1985), in “Contributi”, Anno V, N.1, marzo 1986, Galatina, Congedo, 1986, p.22.
[16] Emilio Panarese: L’istruzione primaria, popolare e professionale a Maglie nei primi quarant’anni del regno (1862-1900), in “Note e documenti di storia e cultura salentina”, Soc. Storia Patria Maglie, N.III, 1976, Cutrofiano, Tip. Toraldo e Panico, pp.103-124; L’istruzione secondaria pubblica e privata in Terra d’Otranto nel 1862-63, in “Tempo d’oggi”, n.2; Settecento magliese. Il palazzo baronale, in “Rassegna salentina”, Anno IV, N.2, Lecce, 1979 ; Cenni storici sullo sviluppo dell’istruzione pubblica a Maglie dall’Unità ad oggi (1861-1985), in “Contributi”, Anno V, N.1, marzo 1986, Galatina, Congedo, 1986; “Maglie. L’ambiente La Storia Il Dialetto La Cultura popolare”, Galatina, Congedo Editore, 1995; Francesca Capece e il suo monumento, Lecce, Argo Editore, 2000.
[17] Emilio Panarese, Cenni storici sullo sviluppo dell’istruzione pubblica a Maglie dall’Unità ad oggi (1861-1985) cit., p.22.
[18] Vito Papa, Il sogno della duchessa cit., p.41.
[19] Emilio Panarese, Cenni storici sullo sviluppo dell’istruzione pubblica a Maglie dall’Unità ad oggi (1861-1985) cit., p.23.
[20] Ivi, p. 25 .
[21] Nicola De Donno, L’origine e i primi incrementi dell’Istituto Capece, in “Quaderni del Liceo Capece”, III, Maglie, 1966, p.22.
[22] Nicola De Donno, Scuola e sviluppo sociale in un comune del Salento nel sec.XIX (Maglie), in “Rassegna Pugliese”, anno V, N.1-3, gennaio-marzo 1970, p.33.
[23] Vito Papa, Il sogno della duchessa cit., p. 41.
[24] Alessandro De Donno, Memorie su l’origine e le vicende del Pio Istituto Scolastico Capece di Maglie, Lecce, 1900, p.104.
[25] Vito Papa, Il sogno della duchessa cit., p.59 .
[26]Ivi, p.22.
[27] Alessandro De Donno, Memorie su l’origine e le vicende del Pio Istituto Scolastico Capece cit., p.105.
[28] Salvatore Panareo, La Duchessa Francesca Capece, fondatrice degli studi in Maglie (1769-1848), Maglie, 1900, p.21.
[29] Cosimo Giannuzzi e Vincenzo D’aurelio, La figura di Francesca Capece e l’origine dell’istruzione pubblica a Maglie, in Il Regio Liceo-Ginnasio F. Capece di Maglie. Ricerche e studi, Edizione monografica dei «Quaderni del Liceo» a cura di Vito Papa, con una prefazione di Dario Massimiliano Vincenti, Ed. Liceo Capece, N. X, Galatina, 2009, p.13-75. Il saggio è presente anche on line in versione ebook, in www.culturasalentina.it
[30] Cosimo Giannuzzi, La città che deve molte delle sue fortune a Francesca Capece, celebra l’inaugurazione del monumento (29 luglio 1900). I primi cento anni della vecchia signora, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 24 luglio 2000.
[31] Giannuzzi e DAurelio, op.cit., p.10.
[32] Vincenzo D’Aurelio, Francesca Capece: l’ignorante fondatrice degli studi in Maglie, in “www.culturaslentina.it” . “Benefattrice narfabeta e ssìmbulu”, la definisce Nicola De Donno, in una sua poesia ( tratta da Lu Nicola va a lla guerra, Milano, Scheiwiller, 1994, p.33).
[33] Vincenzo D’Aurelio, Francesca Capece: l’ignorante fondatrice degli studi in Maglie cit..
[34] Lina Leone, Francesca Capece: da “Stabilimento di carità cristiana” a “Fondazione”, in “L’Idomeneo, Miserere nobis: aspetti della pietà religiosa nel Salento moderno e contemporaneo. Atti del convegno di studi”, Società Storia Patria sezione Lecce, n. 22, Lecce, 2016, pp. 9-16.
[35] Emilio Panarese, Concetta Annesi e i Pirtoli, in “Tempo d’Oggi”, III, 20 -05-1976, Maglie, 1976.
[36] Emilio Panarese, Maglie. L’ambiente La Storia Il Dialetto La Cultura popolare, Galatina, Congedo Editore, 1995, p.200.
[37] Ibidem.
[38] Marisa Perrone, Inventario dell’archivio Storico Dell’orfanotrofio Femminile Annesi – Capece in Maglie in “Contributi”, Anno I, n.1, marzo 1982, Galatina, Congedo editore, 1982, pp.99-129.
[39] “Geronima Capece marchesa di Canosa con atto di notar Giuseppe Míglietta il 20 gennaio 1845 lega all’Orfanotrofio Annesi duc. 1000, da prelevarsi « dal credito che vanto contro mia sorella la duchessa donna Francesca Capece, di ducati 5000 metà di mie doti, i quali ducati 5000 si trovano ipotecati sulla masserie Pezzatee Nova… », perché siano mantenute in perpetuo dal dì dell’apertura tre ragazze, dando a ciascuna di esse nel passare a marito ducati trenta. Il R.D. del 10 febbraio 1848 ne autorizza l’accettazione. La Casa dei Gesuiti di Maglie, erede per donazione della di Francesca Capece con istrumento rogato da notar Raffaele De Rinaldis il 18 febbraio 1843, avendo ricevuto tra i pesi anche quello del capitale di duc.5000 redimibile « quandocumque » con l’interesse del 6%, dovuto a Geronima Capece per istrumento rogato da notar Lorenzo Carrisi di Galatina il 20 gennaio 1804, chiede, tramite il suo superiore Donato Mortari, l’affrancazione dei 1000 ducati spettanti all’Orfanotrofio. Con essi la Pubblica Beneficenza acquista una rendita di duc. 50 iscritta sul G. L. del D. P. e una polizza di duc. 5:63.
Francesca Capece, duchessa di Taurisano, con testamento olografo del 5 novembre 1848, depositato presso notar Francesco Macri, revocando la sua precedente donazione ai Padri Gesuiti, nomina sua erede la Pubblica Beneficenza del Comune di Maglie « acciocchè facesse fiorire la religione e le lettere stabilendo luoghi pii e di pubblica utilità ». E’ del 5 ottobre 1850 il R. D. di accettazione. Per quel che riguarda l’Orfanotrofio l’eredità di Francesca Capece ammonta a duc. 3664:93, le cui voci sono: duc. 1214:93 valore degli oggetti inventariati; due. 1000, prezzo del giardino Pigni, dovuti da Francesco Cezzi con l’interesse del 6%; duc. 1000 antefato, dovuto dai nipoti Lopez y Rojo; duc. 450, vitalizio dovuto dai Padri Gesuiti. I pesi ammontano a due. 598. I mobili, eccetto quelli ad uso dell’Orfanotrofio, previo inventario, sono venduti dietro autorizzazione dell’Intendente Presidente del Consiglio Generale degli Ospizi, giusto l’avviso al pubblico del 14 novembre 1852.
Michela Tamborino Circolone, con atto rogato da notar Federico De Donna, il 26 dicembre 1871, lega alla Congregazione di Carità di Maglie tutti i suoi beni immobili con la cui rendita « … si formasse un ospedale per i poveri… e fossero mantenute nell’Educandato Annesi-Capece di questo luogo numero tre orfane in perpetum… ». Il R. D. del 28 luglio 1872 ne autorizza l’accettazione .
La contessa Luisa Frisari Tamborino, con atto rogato da notar Ercole Papa il 20 ottobre 1903, dona all’Orfanotrofio la costruzione, a proprie spese, al piano superiore dell’edificio sulla via Asilo Infantile, di due grandi dormitori, di una stanza per le suore e di uno spogliatoio, oltre la scala di accesso dal porticato, del valore complessivo di L. 8.000.
L’11luglio 1911 Giulia de Mélon, Superiora delle Figlie della Carità, dona tra vivi alla Congregazione di Carità di Maglie, con atto rogato da notar Gennaro De Donno, un immobile a due piani del valore di L. 12.522,10 composto di 14 vani, sito in via Annesi e costruito dopo aver abbattuto due « casamenti » rispettivamente di otto e quattro vani, comprati con unico istrumento rogato da notar Ercole Papa il 19 novembre 1904, dalle germane Giuseppa e Clementina De Donno e da Luigi Montagna. Con il reddito dell’affitto, esclusa una stanza al numero 5 data in usufrutto vita natural durante ai coniugi Salvatore De Donno e Vita Caputo, la Congregazione deve provvedere al mantenimento nell’Orfanotrofio di tre orfane povere, una di Maglie scelta dal Consiglio di Amministrazione della locale Congregazione di Carità, una di Muro Leccese, scelta dal parroco e dal medico condotto del luogo e una di Otranto, scelta dall’Arcivescovo.
Il 3 settembre .1943 la « popolana » Filomena De Donno Macchia, con atto rogato da notar Luigi Macri, nomina l’Orfanotrofio suo erede generale. L’eredità è costituita dalla metà del fondo Rio, sito in agro di Maglie, indiviso con la sorella Paolina. L’Amministrazione del tempo accetta con deliberazione del 29 dicembre 1945, n. 36, approvata dal C.P.B.A. il 16 maggio 1946, n. 1672, e autorizzata dal Prefetto con decreto 26 novembre 1946 pari numero. Con deliberazione dell’8 luglio 1947, n. 19, l’Amministrazione procede per trattativa privata alla vendita del fondo aggiudicato ai coniugi Giuseppe De Los Reyes e Giuseppina Gigante per L. 152.000.
Da questi e da altri contributi minori trae vita l’Istituzione.”
Marisa Perrone, Inventario dell’archivio Storico Dell’orfanotrofio Femminile Annesi – Capece in Maglie, in op.cit., pp.105-106.
[40] “La Congregazione di Carità nel Comune di Maglie amministrava le seguenti Opere Pie:
— Monte dei Pegni, istituito nel 1621 da Donato Papuli avente « per iscopo di prestanze su pegni ».
— Stabilimento Toma-Ricci, costituito dal legato Ignazio Ricci con testamento del 23 maggio 1739, rogato da notar Paduano Montagna di Maglie, e dal legato Giuseppe Onofrio Torna con testamento del 21 giugno 1793, rogato da notar Giovanni Andrea Gualtieri di Maglie. Il primo aveva lo scopo di alleviare i poveri, secondo « l’orfanaggio a donzelle povere e limosine ».
— Orfanotrofio Femminile Annesi-Capece.
— Ospedale Michela Tamborino istituito con testamento del 26 dicembre 1871, rogato da notar Federigo De Donno di Maglie, ed eretto ad ente morale con R. D. del 28 luglio 1872. Scopo: cura degli infermi di Maglie e mantenimento di tre orfane nell’Orfanotrofio Annesi-Capece.
— Legato Vite Ferramosca, istituito con testamento olografo del 18 marzo 1833 presso il notar Raffaele De Donno di Maglie e riconosciuto con R. D. dell’I l settembre 1833. Scopo: somministrazione di medicinali e nutrimento ai poveri infermi di Maglie.
— Legato Donato Garzia, istituito con testamento del 19 febbraio 1839, rogato da notar Samuele Palma di Maglie ed eretto a ente morale con R. D. del 19 giugno 1841. Scopo: « limosine ai poveri di Maglie ».”
Marisa Perrone, Inventario dell’archivio Storico Dell’orfanotrofio Femminile Annesi – Capece in Maglie, cit. ,p.103.
[41] Ivi, p.109.
[42] Dina Colucci, Il Testamento di Concetta Annesi, fondatrice dell’orfanotrofio Femminile a Maglie (3 giugno 1831), in “Contributi”, Anno IV, n.4, dicembre 1985, Maglie , 1985, pp. 65-75.
[43] Ivi, p.68.
[44] Emilio Panarese, Cenni storici sullo sviluppo dell’istruzione pubblica a Maglie dall’Unità ad oggi (1861-1985) cit., p.225.
[45] Ivi, p.226.
[46] Emilio Panarese, I difficili inizi dell’Ospedale M.Tamborino (1886-1925), in “Tempo d’Oggi”, IV, n.22-23, Maglie, 1977.
[47] Can. Francesco Scarzia, “Discorso letto in occasione dell’inaugurazione dell’ospedale M.Tamborino, in Maglie, nel giorno 8 agosto 1886”, Maglie, Tipografia Capece, 1886, e Dott. Nicola Marotta, “Discorso pronunciato nella sala chirurgica dell’ospedale M.Tamborino, in Maglie, il giorno 8 agosto 1886”, Maglie, Tipografia Capece, 1886.
[48] Narrazione di Padre Sordi, in Nicola De Donno, L’origine e i primi incrementi dell’Istituto Capece, in “Quaderni del Liceo Capece”, III, Edizioni del Liceo-Ginnasio Capece di Maglie, Arti Grafiche Ragusa, Bari, 1966, Appendice, p.37.
[49] Salvatore Panareo, La duchessa Francesca Capece, cit., pp.68-71.
[50] Emilio Panarese, Maglie. L’ambiente La Storia Il Dialetto La Cultura popolare, Galatina, Congedo Editore, 1995, p.227.
[51] Ivi, pp.229-230.
[52] Ivi, p.225.
[53] Nicola De Donno e Emilio Panarese, Vito Circolone, in “Tempo d’Oggi” (Le vie di Maglie), III, n.8, 22-04-1976, Maglie,1976; Emilio Panarese, Memorie inedite di Egidio Lanoce in “Note di storia magliese”, Cutrofiano, Tipografia Toraldo e Panico, 1980, p.4.
[54] Salvatore Panareo, Discorso tenuto nel I centenario della fondazione dell’Istituto Capece, cit., p.29
[55] Pino Refolo, Giuseppe Mangionello Scultore-pittore, Maglie, Edizioni Erreci, 2017, p.35.
[56] Ettore Pasanisi, Discorso commemorativo per l’inaugurazione della lapide a Donna Michela Tamborino, fondatrice dell’Ospedale Civile di Maglie, Maglie, Tipografia Capece, 1925. Dello studioso che dettò l’epigrafe si occupa Emilio Panarese in Il Filologo magliese Francesco Macrì Leone (1865-1891), contenuto in “Note di storia e cultura salentina”, Società Storia Patria Maglie, VII, 1996, Lecce, Argo Editore, 1996, pp.85-100.
[57] Emilio Panarese in Il Filologo magliese Francesco Macrì Leone (1865-1891 ) cit.,p.97.