Manco p’a capa 38. Il nostro futuro dipende da noi

In inglese le attività predittive si chiamano forecasting. Si analizza il passato, si trovano delle relazioni tra gli eventi che hanno portato al presente, e si ipotizza il futuro in base all’esperienza del passato. La linea d’azione è: passato – presente – futuro. Non funziona quasi mai. Anche perché il nostro comportamento influenza il futuro, e non c’è niente di più imprevedibile del comportamento umano. Inoltre, queste predizioni fanno pensare che tutto sia già scritto e che non ci sia molto da fare. Bisogna passare al back-casting, disegnando un futuro desiderabile: il futuro che vogliamo. Si guarda quanto si discosta dal presente, si analizzano le condizioni del passato che hanno determinato il presente, e si programmano azioni future, a partire dal presente, che ci portino verso il futuro desiderato, avendo fatto tesoro degli errori del passato. La linea d’azione è: futuro – passato – presente – futuro. Si potrebbe dire che ci poniamo obiettivi a lungo termine e poi lavoriamo per raggiungerli. Le aziende lo fanno, e concorrono tra loro. In questo caso l’”azienda” dovrebbe essere l’umanità. Prendiamo il presente: il pianeta è sovrappopolato. L’enorme massa di umani sta erodendo le risorse naturali e presto la natura non ce la farà a sostenerci. Facile predizione: prima o poi le risorse smetteranno di essere sufficienti e ci saranno grandissimi sconvolgimenti, guerre, epidemie, carestie. I segni ci sono tutti, queste cose stanno già avvenendo in alcune parti del mondo. Ma si estenderanno a macchia d’olio. Sta già succedendo col covid? Ah, scusate! Ovviamente vogliamo un futuro senza covid, e il modo per averlo è il vaccino. Ma se continueremo a crescere arriveranno altri problemi. Il futuro che vogliamo è una popolazione di umani che sia in armonia con la natura e non la distrugga: si chiama sostenibilità. Dobbiamo diminuire di numero. Diciamo cinque miliardi? Come raggiungere l’obiettivo? Il modo cinese non ha funzionato. Prendiamo quello italiano. Il paese non cresce demograficamente. Non per l’insicurezza economica: i paesi che crescono di più soffrono la fame. Le donne italiane studiano, vanno all’università, vogliono un lavoro ben retribuito, benessere. I loro genitori lo hanno raggiunto e loro lavorano per ottenerlo, rimandando la riproduzione, e facendo pochi figli. Però investono molto su di essi. Prima c’era la quantità, ora c’è la qualità. Il benessere economico e culturale delle donne (sono loro che fanno i figli) è il miglior anticoncezionale.

Questo benessere va esteso a tutta la popolazione mondiale. Un obiettivo non da poco. Cominciamo ad estenderlo a tutta la popolazione italiana, inclusi gli immigrati. Certo, dato che la vita è lunga, per un po’ ci saranno più anziani che giovani, ma poi la composizione demografica si riequilibrerà. Come è avvenuto dopo le guerre e le pestilenze. Un altro futuro che vogliamo è di non dipendere da cose che avvengono lontano da noi. Produciamo le cose essenziali, senza dipendere dagli altri. Progettiamo pensando a quello che accadrà a quello che costruiremo, una volta che non ci servirà più. Il problema dei rifiuti si risolve non producendo rifiuti: un obiettivo strategico delle future tecnologie. Giusto per fare pochi esempi. Il nostro futuro dipende da noi, dobbiamo sapere cosa vogliamo e dobbiamo impegnarci per ottenerlo. Invece di prevedere il futuro, lo dobbiamo progettare. E chi parla di crescita deve essere preso a pernacchie. Nelle condizioni attuali crescita significa obesità. Non abbiamo bisogno di crescita: ci vuole equilibrio. Non confondiamo la dieta con la carestia. 

[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 2 marzo 2021]

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