Manco p’a capa 36. L’obiettivo strategico è unire tecnologica ed ecologica

I sei punti di Cingolani, la traduzione del sogno di Draghi, parlano molto di tecnologia e poco di ecologia, se non indirettamente. Per la prima volta, credo, le parole biodiversità ed ecosistema compaiono nel discorso programmatico di un Presidente del Consiglio. Ma le parole non bastano, ci vogliono i fatti. L’Istituto Italiano di Tecnologie (IIT) non è l’Istituto Italiano di Biodiversità e Ecosistemi (IIBE): l’IIBE non esiste. Perché il paese ha capito l’importanza delle tecnologie ma non quella dell’ambiente. Chi è competente in tecnologie non è competente in questioni ambientali, e viceversa. Non esistono enciclopedisti, oramai. Più si conosce di un argomento, e meno si conosce di altri argomenti. Finalmente stiamo capendo che i problemi sanitari ed economici derivano da cattiva gestione dell’ambiente: non ci può essere benessere umano senza il benessere di biodiversità ed ecosistemi. Ce lo insegna la realtà e ce lo insegnano le linee guida europee del Recovery Plan, e Mario Draghi lo ha capito. Ora abbiamo una lacuna conoscitiva e operativa enorme da riempire, e abbiamo le risorse per farlo. Dobbiamo conoscere in modo accurato lo stato della biodiversità e degli ecosistemi del nostro paese (e del pianeta intero) in modo da capire se le tecnologie che inventeremo andranno nella direzione giusta oppure no. Se lo stato della biodiversità e degli ecosistemi migliorerà, avremo inventato tecnologie sostenibili. Oggi non abbiamo le tecnologie per rispondere alla domanda: quale è l’impatto di quello che stiamo facendo su biodiversità e ecosistemi? È per la rilevanza di questa domanda che il Ministero della Transizione Ecologica deve soprintendere a tutti i ministeri. Lo stato della natura è migliorato durante il lockdown. Non possiamo pensare di fermarci, e sappiamo che si può rimediare. Non è possibile implementare una cura (la transizione ecologica) senza monitorare molto accuratamente le condizioni del paziente (lo stato di biodiversità ed ecosistemi). I tecnologi possono sviluppare gli strumenti di monitoraggio, ma per dire quali sono gli strumenti necessari e come interpretare i dati che ci daranno ci vogliono gli esperti di cose della natura. Le risposte tecnologiche non bastano, bisogna anche fare le domande giuste. Oltre agli ecologisti (sensibili allo stato della natura) ci vogliono gli ecologi (competenti nello stato della natura). Unire le due competenze (tecnologica ed ecologica) è urgente. Le tecnologie sono necessarie ma non sono sufficienti e le competenze su biodiversità e ecosistemi mancano, nella compagine governativa. E manca una struttura parallela all’IIT che sia altrettanto sostenuta. 

[“Il Secolo XIX” del 19 febbraio 2021]

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