di Rosario Coluccia
Come abbiamo visto nella rubrica della scorsa settimana l’eufemismo è un procedimento comunicativo messo in atto allo scopo di sostituire parole o espressioni che sarebbero proprie con altre che rivestono un significato attenuato. Si tratta di una procedura mediante la quale si alleggerisce l’asprezza o la sconvenienza di un’espressione sostituendo un vocabolo con un altro o usando una perifrasi, entrambi scelti (vocabolo o perifrasi) allo scopo di addolcire la crudezza della forma originaria. Ad esempio Dante, in Inferno XXVIII 25, scrive: «Tra le gambe pendevan le minugia» usando il latinismo «minugia» invece di «budella», per raffigurare lo stato orrendo in cui è ridotto un dannato con il corpo, squarciato nel mezzo, da cui fuoriescono le budella; o ancora, in Purgatorio XVII 36, Lavinia (futura sposa di Enea) si rivolge alla madre suicida con le parole «perché […] hai voluto esser nulla?», mascherando con la perifrasi «esser nulla» il tragico riferimento alla scelta della madre di suicidarsi. Con questi accorgimenti linguistici idee ritenute sgradevoli o censurabili vengono sostituite da formulazioni velate, che designano per via indiretta ciò che non si vuole chiamare col nome “reale”.
La scorsa settimana abbiamo trattato eufemismi legati a caratteristiche fisiche o a parti del corpo o alla sfera sessuale, oggi trattiamo di quelli relativi ad altre sfere della vita. Già agli albori della storia della lingua italiana si trovano eufemismi che esprimono paura e timore per il soprannaturale che si manifesta nei campi della fede e della superstizione. Il comandamento che impone di non nominare il nome di Dio invano fu spesso, nei secoli passati, fatto proprio anche dalle autorità profane. L’esplicitazione del nome della divinità, ritenuta responsabile di epidemie e di catastrofi come siccità e carestie, in passato spesso fu punita con il taglio della lingua del profanatore o con la pena di morte. Il timore delle conseguenze scatenate dall’invocazione diretta del nome divino genera deformazioni e modi indiretti di esprimersi, come «perdinci», «perdiana», «per zio!», «per bacco!», fino al giocoso «perdindirindina». Anche il nome del diavolo può essere tabù; e nascono «diascolo», «diantre», «diamine» (incrocio eufemistico di «diavolo» e «domine»).