di Ferdinando Boero
Dopo tre versioni del Progetto Nazionale di Ripresa e Resilienza che non considerano l’ambiente, la politica capisce che una cospicua fetta del Recovery Fund sarà assegnata per attuare una transizione ecologica che traghetti i sistemi di produzione e consumo verso la sostenibilità. Avremmo dovuto capirlo da soli, non “perché ce lo chiede l’Europa”. Ora, per folgorazione e per opportunismo, ecco il Ministero della Transizione Ecologica (il MTE). Il Ministero dell’Ambiente non ha poteri di indirizzo strategico, come dovrebbe avere il MTE. La Commissione Europea considera la biodiversità e gli ecosistemi (la struttura e la funzione dell’ambiente) trasversali rispetto a tutte le politiche di sostenibilità dell’Unione.
Tutto quello che facciamo ha impatti su biodiversità ed ecosistemi e tutto deve essere programmato in modo da non distruggere il capitale naturale, senza il quale non esiste benessere: l’economia deve transitare dall’insostenibilità alla sostenibilità, smettendo di distruggere la natura. Il MTE dovrebbe controllare tutti gli altri ministeri come fino ad ora ha fatto il Ministero dell’Economia. Il governo propone un progetto, e il Ministro dell’Economia ha il potere di fermarlo se le disponibilità economiche non lo permettono. Ricordate Fioramonti? Chiese tre miliardi per la scuola. Gli dissero di no. Nessuno ha mai detto: questo non si può fare perché si distrugge il capitale naturale, bisogna fare in altro modo, trovate altre soluzioni. I debiti nei confronti della natura sono di portata ben maggiore del debito pubblico, e causano buona parte dei danni economici e sociali che ci affliggono, ma nessuno se n’era mai preoccupato. Fino all’altro ieri. Temo che l’improvvisa e unanime conversione ecologica sia legata all’aver intuito che se non la professiamo non avremo accesso ai finanziamenti europei.