Il pudore è il motivo delle denominazioni eufemistiche per certe attività corporee, a questo scopo è stato creato «andare in bagno». In contesti pubblici a volte ho sentito chiedere, con formula garbatissima, «posso andare a lavarmi le mani»? Allo stesso modo la tematizzazione pudica delle funzioni corporee si esprime attraverso l’uso di «traspirare»anziché «sudare», di «vento»anziché «peto», di «acqua» invece di urina». In ambienti familiari si ricorre amorevolmente ad «acqua benedetta» per indicare l‘«urina dei neonati». La pubblicità sfrutta sapientemente le tendenze attenuative della lingua. Negli slogan (continuamente proposti) che magnificano le qualità di certa acqua minerale con proprietà diuretiche e depurative, donne giovani e belle esortano a bere copiosamente quell’acqua che «fa fare tanta plin plin», deformando pudicamente (con attenuazione giocosa) il sostantivo femminile invariabile «pipì», che nel linguaggio familiare e infantile indica l’«urina».
La sfera intima e la nudità, tabuizzate fino ad anni recenti, hanno dato vita a termini indiretti come «basso ventre» o «parti basse» per indicare gli organi genitali, maschili e femminili, con innumerevoli deformazioni che riguardano l’organo maschile come «cacchio», «cavolo», «cappero», «caspita» o con forme allusive (di vario livello socio-culturale e di varia localizzazione) come «pisello», «uccello», «piffero», «pistolino» (per l’uomo) e «patata», «passera», «topa», «bernarda» (per la donna).Numerosi gli eufemismi per la biologia femminile come «essere in (dolce) attesa» per «essere incinta», «dare alla luce» per «partorire», «giorni critici» per «mestruazione» (anche «mese», nei vocabolari marcato come “di basso uso”, cioè raro, e tuttavia circolante in testi e discorsi anche recenti). Gli atteggiamenti collettivi cambiano e la pubblicità (attenta al mutare delle condizioni generali) registra quanto succede nella società, adeguandovi immagini e lingua. Recentemente hanno suscitato dibattiti due spot pubblicitari di assorbenti, destinati rispettivamente alle mestruazioni e alle perdite urinarie. Il primo, intitolato «Viva la vulva» (termine esplicito) e chiuso dalla sollecitazione «Libera di osare», è giocato su allusioni iconiche che rimandano alla vagina; il secondo mostra donne ultracinquantenni e dà spazio ai loro racconti su desiderio e sessualità anche dopo le menopausa. Con la seguente motivazione: «Attraverso la nostra nuova campagna #SenzaEtà vogliamo sfidare la percezione di cosa voglia dire essere una donna che convive con le perdite urinarie».
I sentimenti di garbo e di pudore collegati al corpo umano instaurano modelli linguistici improntati ad atteggiamenti di rispetto generale, verso noi stessi e verso gli altri. Una lingua “educata” è alla base dei buoni rapporti tra gli uomini e si rivela denominatore comune decisivo per la convivenza e per equilibrati rapporti sociali. Una persona grassoccia non viene indicata direttamente con l’aggettivo «grasso», bensì utilizzando termini come «sano», «robusto», «forte»; nell’abbigliamento si parla costantemente di «taglie forti», non esistono «taglie per persone grasse». Lo sfruttamento a fini commerciali di certe tendenze attenuative genera parole che addirittura rovesciano le possibili implicazioni negative di partenza, al fine di rendere allettanti i capi di abbigliamento di cui si propone la vendita. Si spiega così la diffusione dell’anglicismo «curvy» (letteralmente ‘formosa’) per indicare modelle «bellissime, rotonde, sensuali meritano una particolare attenzione perché negli ultimi anni stanno conquistando le passerelle di tutto il mondo trasformando finalmente gli stereotipi». Modelle curvy famose, italiane e straniere, pubblicizzano indumenti ricchi «di morbide silhouette, jeans skinny e capi basici. Per essere. femminili in ogni situazione». O magnificano un abbigliamento «concentrato di femminilità e comodità, fatto per mettere in evidenza le curve, sostenerle ed enfatizzarle allo stesso tempo». Ne risulta rovesciato un diverso modello del mondo consumistico, l’esaltazione del corpo magro. Se l’eufemismo aiuta i destinatari del messaggio ad avere in tutte le circostanze un atteggiamento equilibrato nei confronti dell’aspetto fisico proprio e altrui, accettato senza indulgere ad esasperazioni e a censure, di nessun tipo, vuol dire che (in questo specifico caso) l’eufemismo svolge una funzione positiva.
La sfera intima della vita sentimentale e sessuale contiene una molteplicità di eufemismi creati per riservatezza e pudore. Una quantità di termini indica la «prostituta» come «donna [ragazza] di strada», «donna da trivio», «donna pubblica», «donna squillo», «donna galante», «donna di vita», «donna facile» e, con accezione marcatamente ottimistica volta a superare pregiudizi, «donna libera». In accezione (fintamente?) giocosa mi è capitato di sentir dire «quella ragazza è molto casual». Nelle cronache giornalistiche e televisive, si ricorre spesso all’anglismo «escort», che originariamente indicava ‘chi a pagamento accompagna persone in viaggio o in occasione di impegni mondani; guida turistica personalizzata’. Oggi il forestierismo viene usato, con funzione eufemistica, per significare ‘prostituta’ (termine giudicato troppo crudo, e quindi mascherato)
La lingua cambia con il mutare della società. Modi di sentire, comportamenti e parole vanno insieme.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 7 febbraio 2021]