di Paolo Vincenti
Una miscellanea, sorta di satura lanx in cui si raccolgono testi anche molto diversi fra di loro. Uno zibaldone ricomposto, direi, o memento, come il titolo di una delle prosette presenti all’interno. Operazione nostalgia, che certo rischia l’autoreferenzialità, se puntello alla sua compaginazione non fosse l’eterna insoddisfazione che soggiace al labor limae, il cribro mai appagato, la ricerca vana quanto esaltante del libro perfetto, la tensione creativa, e infine il desiderio di cambiamento, naturale nell’uomo. Perché si cresce, inevitabilmente si cambia, e muta lo sguardo sul mondo, segue lo stile. Ho pubblicato svariati libri, tutti rinnegati, nel loro complesso, ad eccezione dei primi due (forse): L’orologio a cucù (Good times) e Danze moderne (I tempi cambiano). Mi sono convinto che la prima opera davvero apprezzabile sia il saggio L’osceno del villaggio, come se la mia carriera letteraria potesse partire da quello. Tuttavia, rileggendo queste prove poetiche, inevitabilmente il riflusso, un senso di vuoto o di qualcosa di non concluso, di riuscito a metà, mi ha posseduto. Dopo molto tempo, ho deciso di rimettere mano a tutta quella produzione, per capire quanto potesse essere salvato e quanto definitivamente cancellato. Così è iniziata la composizione di questo libro che affastella vario materiale quasi tutto rimaneggiato, con poche eccezioni. Fogli extra vagantes, scartafacci che costellano la mia storia di scrittore e di uomo, hanno allora ripreso vita e sono diventati una summa poetica, antologia degli anni duemilaventi.