di Antonio Prete
Torquato Tasso. O belle a gli occhi miei tende latine! Il verso appartiene al VI canto della Gerusalemme liberata, ed è l’esclamazione di Erminia giunta in vista dell’accampamento cristiano, dove sorge la tenda di Tancredi ferito. Il verso sopravviene a una descrizione della notte, le cui ombre hanno fino a quel momento protetto la cavalcata di Erminia verso il campo nemico, coperta con la veste sottratta nottetempo a Clorinda, e accompagnata da una piccola fragile scorta: in quel campo c’è il guerriero cristiano che le ha ferito il cuore sia quando è stata sua prigioniera sia quando, tornata libera nel proprio schieramento, lo ha potuto osservare nel corso del duello con Argante. Proprio nell’occasione di quel duello, invece, Tancredi è stato preso nei lacci d’amore per un’altra saracena: una donna che, la visiera alzata, è apparsa sull’altura, scortata da un migliaio di armati, splendente nella sua fierezza. Incrocio, dunque, di sguardi e di destini: Tancredi preso in un rapimento istantaneo e violento per Clorinda, la guerriera nemica, ed Erminia caduta preda di un estatico e meditativo sentimento d’amore per il guerriero nemico, Tancredi. Nel cuore della guerra l’amore, con la sua lontananza da ogni strategia oppositiva di nemico-amico, con la sua libertà da ogni ragione politica, e religiosa, prende campo giocando la sua battaglia, che è soltanto interiore, i suoi duelli, che sono solo di sentimenti, la sua lingua, che conosce solo la grammatica del desiderio. Ma ecco l’ottava del notturno lunare che fa da cornice al verso :
Era la notte, e ‘l suo stellato velo
chiaro spiegava e senza nube alcuna,
e già spargea rai luminosi e gelo
di vive perle la sorgente luna.
L’innamorata donna iva co ‘l cielo
le sue fiamme sfogando ad una ad una,
e secretari del suo amore antico
fea i muti campi e quel silenzio amico.
Poi rimirando il campo ella dicea:
– O belle agli miei tende latine!