Si ferma lì. Basta. Pensa che un’opera del genere si può leggere dal principio alla fine solo a trent’anni. Forse nemmeno prima. Probabilmente nemmeno dopo. Non si può leggere prima perché non si ha quella maturità acerba che è indispensabile per tendersi verso la comprensione profonda. Non si può leggere dopo perché la comprensione profonda provoca dolore.
Però poi uno pensa che forse si sbaglia. Pensa che tutto dipende da tante cose, da moltissime, personalissime cose.
Per tredici anni e mezzo, dal 1925 al 1938, Nikos Kazantzakis lavorò alla sua “Odissea”, con una ossessiva ricerca delle parole; per sette volte la riscrisse, fino ad arrivare alla condizione dell’insostituibilità di ogni parola. Certo, ogni parola può trovare accoglienza, ospitalità in un’altra lingua. Ma bisogna trovare la parola insostituibile anche nella lingua che è disposta ad ospitarla. Così ha fatto Nicola Crocetti con la sua traduzione. Ha trovato le parole che non si possono sostituire.
Forse si può leggere solo a trent’anni l’”Odissea” di Kazantzakis, allora. Non prima, non dopo. Però uno pensa che se non ha potuto farlo a trent’anni, deve necessariamente farlo dopo. Perché ci sono libri che non si può fare a meno di leggere. Non cambiano i tuoi giorni, non cambiano la tua esistenza: però cambiano il modo di stare dentro i tuoi giorni, nella tua esistenza, il mondo di considerare ogni giorno di cui si compone l’esistenza, il valore che attribuisci ad ogni ora, ad ogni minuto, il modo di guardare chi ti cammina accanto o ti cammina davanti, il modo di pensare a chi ti lasci dietro. Il modo di vivere la tua nostalgia. Ci sono libri che ti danno la possibilità di guardare le storie e le cose, i fenomeni e le creature, con occhi che sono diversi dagli occhi tuoi e quindi di comprendere oltre, di pensare diversamente e quindi di poter confrontare i pensieri, di provare sentimenti che solitamente non provi e quindi di sperimentare un sentimento che non hai mai provato. Ci sono libri che ti danno l’occasione di fare esperienze che nella realtà non potrai fare mai, di conoscere luoghi mai conosciuti, inesistenti, visitati con gli sconfinamenti della mente di un uomo, di vivere avventure generate dalla sua insonnia, di simulare l’imprevedibile, di incontrare l’inaspettato.
Con questi libri occorre fare i conti, a qualsiasi età. L’”Odissea” di Kazantzakis è un libro di questi, e bisogna fare i conti, anche se si sono passati i trent’anni.
Probabilmente, per il lettore comune, non è necessario leggerlo dal principio alla fine. Come non è necessario leggere dal principio alla fine l”Odissea” di Omero, L’ “Eneide” di Virgilio, l’”Ulisse” di Joyce, “Horcynus Orca” di D’Arrigo, la “Commedia” dantesca. Si può aprire una pagina, a caso. Si può cercare in quella pagina uno specchio in cui riconoscersi oppure no. Perché forse i libri servono a questo: i (pochi) libri che bisogna leggere necessariamente servono a riconoscersi oppure no, a dirsi che un personaggio ti rassomiglia oppure che è completamente diverso da te, che vorresti essere come lui o che per non esserlo ti sveneresti, che una storia è uguale alla tua oppure che è esattamente l’opposto, a farti pensare che avresti voluto o che vorresti viverla, o a farti sperare di non doverla vivere mai. Servono a farti desiderare, invidiare, un viaggio, il viaggio di Ulisse, oppure a farti rifiutare l’idea di un viaggio come quello. I (pochi) libri che servono davvero, sono quelli che ti impongono di smettere di leggerli perché ti costringono a un confronto con te stesso che non vuoi avere perché ti fa male capire veramente come sei, o come vorresti essere e non puoi. Già. Ci sono libri che bisogna leggere o almeno cominciare a leggere per poi gettarli al rogo perché non li reggi, perché ti squadernano le categorie e le certezze. Ma bisogna comunque leggerli o cominciare a leggerli. Anche se non si hanno più trent’anni.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 24 gennaio 2021]