Il Consiglio dei Ministri ha istituito per il 25 marzo (data che gli studiosi individuano come probabile inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia) la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri, indicata con il nome di Dantedì (giorno di Dante). La parola è stata coniata da Francesco Sabatini (presidente onorario dell’Accademia della Crusca) e Paolo Di Stefano (docente, giornalista e scrittore) sul modello di parole tutte italiane come lunedì, martedì, mercoledì, oggidì, tuttodì, ecc., e ormai, per fortuna, è entrata nella nostra lingua (scongiurando, almeno in questo caso, il rischio che si generassero ridicoli ibridi anglicizzanti). Già lo scorso anno il 25 marzo ci furono varie iniziative, quest’anno aumenteranno. Inoltre è stato istituito un Comitato Nazionale per le celebrazioni dei settecentenario, allo scopo di vagliare i progetti che associazioni, enti locali, musei, istituti e realtà culturali intendono promuovere per celebrare l’importante ricorrenza. Si moltiplicano libri e convegni dedicati a Dante e alla sua opera.
È tutto oro quello che luccica? Conviene essere cauti. Non tutto quello che è stato fatto o si annunzia pare di altissimo livello. Compito della comunità nazionale è di valutare con attenzione le mille iniziative in corso, evitando il rischio che si sciupi una grande occasione di crescita culturale collettiva. Dante non può essere privatizzato, ci mancherebbe. Nessuno può vantare diritti o prelazioni. Ma occorre che l’enorme quantità di libri, articoli, iniziative, manifestazioni, mostre che si susseguiranno per tutto il 2021 non vada a scapito della qualità. «La parola di Dante fresca di giornata». Si intitola così un’iniziativa dell’Accademia della Crusca che è già iniziata e si svilupperà per ciascuno dei 365 giorni dell’anno dantesco. Ogni giorno, dal 1° gennaio al 31 dicembre 2021, nel sito Internet dell’Accademia della Crusca, appare una diversa parola o espressione di Dante arricchita da un breve commento pensato per raggiungere il pubblico più ampio. Le parole prescelte sono rilanciate attraverso i canali social dell’Accademia (Facebook, Twitter, Instagram), sottolineando la capacità creativa, l’attualità e la straordinaria leggibilità del grande poeta.
Dante fu un eccezionale utilizzatore delle risorse della lingua italiana (scrisse moltissimo anche in latino, lingua che conosceva perfettamente, ma di questo forse parleremo in un’altra occasione). La Divina Commedia è un testo meraviglioso di 14.233 versi endecasillabi, distribuiti in 100 canti, in totale circa 101.000 forme (occorrenze delle diverse unità lessicali, nelle loro eventuali forme flesse), con un vocabolario di circa 7.000 diverse parole (unità lessicali o lessemi). (Si rassicurino i lettori: non ho conteggiato manualmente tutta la Commedia, ci avrei impiegato anni… L’informatica è insostituibile, per i dati). In Dante ricorrono locuzioni, motti, parole da lui inventate o riutilizzate, che in moltissimi casi fanno ancora parte del nostro patrimonio linguistico e che spesso usiamo senza sapere che risalgono a Dante o che attraverso la sua opera si sono impiantate nella nostra lingua.
Ecco le prime quattro parole commentate nel sito della Crusca nei primi quattro giorni del nuovo anno.
1 gennaio 2021: trasumanar (Paradiso, I, 70). “Trasumanar significar per verba / non si poria; però l’essemplo basti / a cui esperienza grazia serba”. Neologismo dantesco per indicare un’esperienza che va oltre l’umano. Dante lo usa per indicare l’avvicinamento a Dio, ma il termine può essere esteso ad ogni condizione che vada al di là dell’esprimibile, dove le parole non bastano più. [C. M.]
2 gennaio 2021: color che son sospesi (Inferno, II, 52). “Io era tra color che son sospesi, / e donna mi chiamò beata e bella, / tal che di comandare io la richiesi”. È detto da Virgilio parlando di sé, perché sta nel Limbo, ma è passato nell’italiano come forma proverbiale per indicare uno stato di incertezza e di attesa. [C. M.]
3 gennaio 2021:bella persona (Inferno, V, 101). “Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, / prese costui de la bella persona / che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende”. Espressione con cui Francesca da Rimini si riferisce al proprio corpo, di cui Paolo si innamorò e da cui l’anima è stata violentemente separata. Dante la usa in senso fisico; oggi l’espressione si riferisce invece a chi ha doti morali (generosità, lealtà, ecc.). [P. D’A.]
4 gennaio 2021: dolenti note (Inferno, V, 25). “Or incomincian le dolenti note / a farmisi sentire; or son venuto / là dove molto pianto mi percuote”. Dante comincia a sentire le grida di dolore dei condannati per aver peccato di lussuria. La diffusione della Commedia a livello popolare ha portato all’uso comune dell’espressione dolenti note per intendere ‘fatti, circostanze, argomenti spiacevoli’. [A. N.]
Nel momento in cui quest’articolo viene pubblicato il sito della Crusca (www.accademiadellacrusca.it) contiene già un numero assai maggiore di parole dantesche (per sapere quante sono, basta contare quanti sono i giorni del 2021 fino ad oggi). Chi vuol conoscere un po’ meglio Dante e la sua lingua clicchi su quel sito.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 24 gennaio 2021]