Manco p’a capa 25. Il recovery fund, l’ecologia e le scelte dei politici

Non esiste, in Italia, una cultura della natura basata su solida conoscenza, ed è necessario tornare sulla differenza tra ecologisti ed ecologi. Gli ecologisti hanno a cuore i problemi dell’ambiente, e sono pronti a lottare per risolverli. Gli ecologi studiano l’ambiente e hanno la conoscenza per valutare l’effettiva sostenibilità di ogni iniziativa, ma non hanno peso politico, sono pochi.  Gli ecologisti dovrebbero essere il “peso” che dà forza agli ecologi, senza sostituirsi ad essi, perché non basta avere contezza di un problema, bisogna anche avere la conoscenza per affrontarlo. Dato che la natura è assente dalle nostre visioni del mondo, pur essendo un pre-requisito insostituibile per garantire la nostra sopravvivenza, è chiaro che esiste un vuoto nel panorama politico del nostro paese: un partito, o un movimento, che imponga le questioni ambientali come priorità inalienabili, perché se l’ambiente è degradato degradano anche la salute e l’economia. Non si può programmare un futuro sostenibile se non si pensa alla salute dell’ambiente. In Europa questo si è capito, e il New Green Deal chiede la conversione ecologica, proprio come la chiedono Francesco e Greta, e mette moltissime risorse a disposizione per realizzarla. Però, in Italia, manca un partito che abbia la cultura per capire la sfida, e se la sfida non si capisce sarà ben difficile affrontarla opportunamente e vincerla. 

Ho partecipato alla scrittura del Piano Nazionale della Ricerca, per l’ambito marino. Ci avevano assegnato il tema: Gestione delle Risorse Marine. I miei colleghi e io lo abbiamo cambiato con: Conoscenza, innovazione tecnologica e gestione sostenibile degli ecosistemi marini. La natura non è un mero fornitore di risorse, e bisogna conoscere molto bene il capitale naturale per sviluppare tecnologie che portino a una gestione sostenibile delle nostre interazioni con biodiversità ed ecosistemi. Nel resto del Piano Nazionale della Ricerca, però, la natura non c’è. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ricalca la stessa impostazione: prevalgono le visioni degli economisti “di prima”, quelli che vogliono la crescita del capitale economico e non si curano del capitale naturale. Quelli che pensano che la salute umana si coltivi con la medicina e la farmacologia e che l’ambiente non abbia alcun ruolo nei confronti della salute. Quelli che pensano che le tecnologie possano essere sviluppate senza solide conoscenze dei sistemi ambientali in cui saranno inserite. 

I partiti sono espressione del sentire della popolazione. Ma non basta il “sentire” ecologista, ci vuole qualcuno che lo traduca in decisioni politiche. Temo che i miliardi del recovery fund saranno spesi secondo il business as usual. Traduco: ci daranno un sacco di soldi per mettere in armonia con la natura i nostri sistemi di produzione e consumo e noi li intascheremo e continueremo come sempre, come se niente fosse.   Aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno non significa buttare il tonno contro le pareti del Parlamento, significa prendere decisioni molto diverse da quelle di chi era prima in Parlamento. Prima del M5S è stata la Lega a dichiarare di voler stravolgere la politica. Abbiamo visto. Ora tocca al M5S, ma per fare cosa? Tanto per restare in tema di tonno, e tornare a temi un tempo cari a Grillo, il tonno che ci propongono nelle pubblicità non è il tonno rosso del Mediterraneo. E’ il tonno pinne gialle dell’Indo-Pacifico e dell’Atlantico. Il tonno rosso va in Giappone. Quando si apre la scatoletta, è bene accertarsi del contenuto. 

[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 12 gennaio 2021]

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