Come lui siamo viandanti che comunque devono andare, vogliono andare. Che si possono e vogliono soffermare sullo strapiombo del presente soltanto per quel tempo che è necessario a prendere una decisione sulla direzione da seguire. Poi, però, devono andare. Vogliono avventurarsi nella nebbia, attraversarla, cercando di orientarsi con la sensazione, l’intuizione, un po’ di ragione. Con la consapevolezza che possono sbagliare ma senza la possibilità di tornare verso il passato, anche se il passato è chiaro, o sullo strapiombo roccioso del presente, che immediatamente diventerà passato, chiara memoria di una condizione irripetibile.
Come il viandante di Caspar David Friedrich abbiamo nella gamba sinistra un accenno di passo, una tensione verso il cammino, forse anche un’ansia per l’andare. Come il viandante mostriamo una sicurezza di noi, della nostra possibilità, della nostra forza, anche se la posizione di spalle ci impedisce di mostrare possibili inquietudini espresse dagli occhi, dal volto.
Sono nascoste dalla nebbia del mistero anche le nostre emozioni. Il corpo e la postura traducono certezze. Il volto nascosto traduce tutte le nostre incertezze.
Però dobbiamo andare, fare esperienza del cammino nella nebbia, così diffusa, così densa, da essere mare.
Sullo strapiombo roccioso del presente possiamo soffermarci solo il tempo che basta, sostare soltanto per quell’attimo che ci consente di avvertire l’odore del futuro. Poi si deve andare nella nebbia di quel futuro, verso il suo orizzonte misterioso.
Allora il viandante si prepara ad abitare il futuro. Quella dimensione incerta, ambigua, sfuggente, confusa nella nebbia, misteriosa, che è il futuro. Quella condizione di sé che si può soltanto immaginare. Quell’altrove che per riferimento può avere soltanto la speranza. Nella sua immaginazione il viandante configura una possibilità di esistenza nel futuro. E’ proteso verso di esso, verso l’indecifrabile, l’imprevedibile, l’imponderabile. Il futuro lo richiama, lo coinvolge. Lo seduce il pensiero di poter conferire una prospettiva al proprio presente, in quanto spazio temporale aperto al divenire, la possibilità di attribuire un significato ulteriore al proprio essere e all’essere nel mondo, di proiettare la propria esistenza al di là dell’istante che vive.
Il viandante sa perfettamente che il futuro non gli appartiene, che è soltanto un’ipotesi, una condizione immaginaria. Ma non può fare a meno di pensarsi in quella condizione, di immaginarsi nel futuro.
In un saggio che si intitola Futuro, Marc Augé sostiene che futuro è il tempo di una coniugazione: il tempo più concreto della coniugazione. “Se è vero che il presente è inafferrabile, sempre travolto dal tempo che passa, e il passato sempre oltrepassato, irrimediabilmente compiuto o dimenticato”, il futuro è la vita che si vive individualmente”.
“Rispetto al futuro – dice – ci collochiamo come individui mortali, affettivi, con legami personali, come ricercatori o militanti, ma sono anche concepibili molte altre posizioni e ogni individuo può occuparne diverse simultaneamente. Ci collochiamo anche, e ciò non ha minore importanza, come esseri già implicati nel tempo, cioè in modo diverso a seconda che siamo giovani o vecchi: l’attesa, la speranza, l’impazienza, il desiderio o il timore non rimangono gli stessi nelle differenti età della vita”.
Il viandante di Caspar David Friedrich non è giovane più, non è ancora vecchio. Ha quell’età in cui si possiede l’esperienza che serve per poter fare la strada che si ha necessità o desiderio di intraprendere. Ha una memoria che ancora non ingombra, non rattrista, non fa nostalgia; una memoria che sorregge. Ha un sogno per domani che probabilmente proviene dalla profondità del passato; ha l’energia per un progetto. Lo strapiombo del presente non gli fa paura, o quantomeno gli fa una paura che riesce ancora a governare.
Noi, in questo tempo, siamo così, come il viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich. Ma probabilmente l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo è stato così, come il viandante. Sullo strapiombo roccioso del presente, con il cuore rivolto ai giorni che ha vissuto e un pensiero di speranza scagliato verso l’ avvenire.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 10 gennaio 2021]