di Guglielmo Forges Davanzati
Lo scorso 5 gennaio è morto, nella sua casa di Napoli, Augusto Graziani, uno dei maggiori esponenti del pensiero economico italiano della seconda metà del Novecento. Nato a Napoli il 4 maggio 1933, Graziani si è formato, dopo gli studi alla Facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo napoletano, prima alla London School of Economics, sotto la guida di Lionel Robbins e successivamente ad Harvard con Wassili Leontief e Paul Rosentein-Rodan. Collaboratore di Manlio Rossi Doria al Centro di Specializzazione e Ricerche di Portici, Professore di Economia Politica a Catania, poi a Napoli “Federico II” e infine a Roma “La Sapienza”, accademico dei Lincei, dal 1998 al 2001 è stato Presidente della Società Italiana degli Economisti e, dal 1992 al 1994, senatore indipendente del Partito Democratico Sinistra. Ha svolto un’intensa attività divulgativa, essenzialmente finalizzata a criticare le politiche conservatrici di austerità e a proporre misure di ridistribuzione del reddito contestuali a interventi di politica industriale. Ciò nella convinzione – maturata soprattutto nei primi anni settanta – secondo la quale la gestione della politica economica risente profondamente degli interessi contrapposti di classi sociali in conflitto sull’appropriazione del sovrappiù realizzato, ovvero in conflitto sulla determinazione del quanto e cosa produrre. Graziani aveva due doti intellettuali alquanto rare: esponeva le sue teorie con un rigore logico non comune e, al tempo stesso, riusciva a renderle comprensibili anche ai “non addetti ai lavori”.