In prima linea, da secoli, ci sono alcune categorie di ricercatori, le cosiddette Cassandre dell’ecologia, che predicano al deserto fin dal tempo di Malthus, restando inascoltate. Adesso ci sono diverse donne che hanno messo la sostenibilità nel loro programma di governo. Da Ursula Von Der Leyen a una serie di premier in paesi che parte dalla Germania e arriva fino in Nuova Zelanda. Ma riusciranno a passare dalle parole ai fatti?Gli interessi economici tendono a prevalere e chi li detiene può “premere” sui politici in modi che non sono alla portata di chi ha a cuore lo stato dell’ambiente. I politici predicano bene e parlano di Green Deal, ma poi rinnovano le concessioni petrolifere per trivellare il mare. Ho guardato con molta attenzione il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che dovrebbe mettere in pratica il New Green Deal con una camionata di miliardi di euro. Non c’è la parola biodiversità… quella che a Rio tutti dichiararono essere il perno delle nostre possibilità di sopravvivenza e che viene riconosciuta come fondamentale dal New Green Deal, assieme agli ecosistemi. Nel PNRR gli ecosistemi sono solo quelli dell’innovazione. La natura è una mera fornitrice di risorse: le risorse naturali. Alla fine la cura per la natura si fa se porta a buoni affari, altrimenti è un freno allo “sviluppo”. Si pensa che tutto possa continuare come prima, con l’aiuto di mirabolanti tecnologie che risolveranno tutti i problemi, a fronte di tanti bei miliardi.
Non si coglie il nesso tra ambiente e salute, nonostante l’Unione Europea lo richiami più volte in termini di Salute Unica (non ci possono essere umani sani in un ambiente malato), ma poi la salute è un affare per medici e farmacologi. Che c’entra l’ambiente? Niente da fare, il concetto di sostenibilità proprio non passa. Greta è folklore, ma poi le priorità sono altre nelle “visioni” dei nostri politici, nessuno escluso. La logica lascia a desiderare. Da una parte tutti lamentano la sovrappopolazione e riconoscono l’impossibilità di una crescita infinita della popolazione umana. Fermiamoci un attimo qui: se non è possibile crescere all’infinito significa che ci si deve fermare. E se ci si ferma di crescere, per un po’ ci saranno più anziani che giovani. In Italia abbiamo smesso di riprodurci come conigli e viviamo a lungo: non siamo mai stati così tanti, e tutti concordano che il nostro territorio non può contenere, che so, duecento milioni di persone: staremmo meglio se fossimo di meno. Però dobbiamo fare più figli. Un ragionamento che non fa una grinza.
Siamo uno dei pochi paesi al mondo che ha fermato la crescita demografica. Dovremmo cercare di trarne vantaggio, gestendo con saggezza una situazione che non è stata pianificata ma che dovrebbe essere esportata: maggiore qualità e minore quantità. Ma noi, invece di capirlo, rigettiamo gli individui di maggiore qualità (i nostri laureati, che emigrano) e importiamo manodopera sottopagata per mansioni di base che, comunque, stanno tornando a fare anche i nostri giovani, sempre più precari e sottopagati. La crescita infinita non è possibile, ma tutti vogliono la crescita. Confondendola con lo sviluppo. Tutte queste cose sono collegate tra loro, in una rete di relazioni non difficilissima da districare. La conversione ecologica, con la transizione verso un’economia sostenibile, rappresenta una opportunità di sviluppo qualitativo senza precedenti, nella direzione predicata da Greta e da tutti quelli che l’hanno preceduta e a cui Greta si ispira. È molto probabile, invece, che questa opportunità sarà colta da chi ha visioni obsolete e che ha tutt’ora la possibilità di influenzare davvero i decisori. E quei soldi verranno spesi per continuare come prima, facendo finta di cambiare. L’ambiente, purtroppo, non riesce ad entrare nelle stanze dove si decide e, alla fine, alle belle parole seguono fatti che non corrispondono a quanto dichiarato. Greta o non Greta.
[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 5 gennaio 2021]