di Augusto Benemeglio
Caro Giuseppe (*), trovo bellissimo quel tuo titolo simbolico, “Gallipoli, periferia dell’Impero”, che mi ricorda un po’ Kafka (il messaggero dell’imperatore, ma anche il cavaliere del secchio), Calvino (le città invisibili, la poesia dell’invisibile) e la poesia del nulla di Lucrezio, fatta di granelli di polvere che turbinano in un raggio di sole in una stanza buia.
La città di Gallipoli, la “mia” città di elezione, è sempre stata avara con i suoi figli più nobili e meritevoli, ma non è un titolo esclusivo, basti pensare a Nazareth. Ci sono delle ragnatele, diceva Lucrezio, che ci avvolgono senza che noi ce ne accorgiamo, ci avvolgono mentre camminiamo, mentre viaggiamo nel mondo dei sogni, mentre respiriamo.
Dietro la Gallipoli “Rosa Azzurra”, da te mirabilmente descritta più di trent’anni fa, nelle sue scansioni, nei suoi riti, nei suoi canti, nelle sue feste e nelle sue leggende, c’è una sorta di gigantesca Aracne ovidiana dalle dita agilissime “nell’agglomerare e sfilacciare la lana, nel far girare il fuso, nel muovere l’ago da ricamo”, ma che ad un tratto vediamo allungarsi in esili zampe di ragno e mettersi a tessere ragnatele che ci avvolgono, che ci imprigionano, inevitabilmente, ineluttabilmente. Tu, come altri prima di te, sei vittima di tutto ciò, amico mio. Ma hai quel dono straordinario della pertinacia, della volontà di resistere, della fiducia nell’ottimismo, nella perseveranza, nella speranza che le cose possano cambiare, nonostante tutto. E possano trovare la loro perduta “leggerezza” (oggi viviamo davvero tempi di estrema pesantezza, direi di cupezza, in cui non sembra esserci nessuno spiraglio se non quello di avere un futuro da “buco nero”). Questo tuo rincorrere il sogno della leggerezza mi ricorda, sotto certi aspetti, – anche se la tua tempra virile e il tuo innato pudore tendono a negare tutto ciò, – la rarefatta consistenza di una poetessa come Emily Dickinson (“Un sepalo ed un petalo e una spina/ in un comune mattino d’estate,/ un fiasco di rugiada, un’ape o due,/ una brezza,/ un frullo in mezzo agli alberi/ e io sono una rosa!).