Parlare di me stesso tutto il giorno/ha riportato a galla
qualcosa che credevo ormai/bell’e finito. Quel che provavo
per Maryann – Anna si fa chiamare
adesso – in quegli anni.
Sono andato a prendermi un biccher d’acqua.
Sono rimasto un pezzo vicino alla finestra.
Quando sono tornato/siamo passati senza problemi all’argomento successivo.
Sono andato avanti con la mia vita. Ma
quel ricordo mi ha trafitto come un chiodo. (L’intervista)
Così ci sentiremo dopo aver letto una sua poesia: trafitti come da un chiodo. Le poesie di Carver sono momenti di vita quotidiana, sussulti, batticuori. Sono poesie che squarciano il petto e vi spingono dentro emozioni; la sua è la poesia dello straordinario nell’ordinario, della rivoluzione celata nella monotonia di un giorno qualunque; leggere Carver è svegliarsi di soprassalto dopo aver sognato di precipitare e trovare al proprio fianco una mano amata da stringere. Carver racconta una resa: la resa di ciascuno di fronte alla bellezza delle piccole cose. Dice Tess Gallagher – che lo ha amato e da lui è stata amata fino all’ultimo giorno di vita dello scrittore – delle poesie di Carver che il tempo trascorso a leggerle “diventa subito fecondo, perché i suoi versi si concedono con la stessa facilità e spontaneità naturale del respiro”. Così finiamo per amarle, perché, senza che ce ne rendiamo conto, iniziano a scorrerci nel sangue e prendono lo stesso ritmo del nostro battito, fluiscono in noi e si confondono con il nostro respiro. Carver canta l’amore per la vita. Quella reale, quella difficile, quella fatta di sacrifici e di sofferenze, quella degli affetti profondi, familiari, quella dei sentimenti semplici e, per questo, reali. Canta i momenti rari in cui ci si sente vivi davvero. Quelli in cui ci si rende conto di essere qui e ora, che in fondo esistere è sufficiente e non si dovrebbe chiedere altro:
Giù nello Stretto le onde schiumano
come dicono qui. Il mare è mosso e meno male
che non sono uscito. Sono contento d’aver pescato
tutto il giorno a Morse Creek, trascinando avanti
e indietro un Daredevil rosso. Non ho preso niente.
Neanche un morso. Ma mi sta bene così. E’ stato bello!
Avevo con me il temperino di tuo padre e sono stato seguito
per un po’ da una cagnetta che i padroni chiamavano Dixie.
A volte mi sentivo così felice che dovevo smettere
di pescare. A un certo punto mi sono sdraiato sulla sponda
e ho chiuso gli occhi per ascoltare il rumore che faceva l’acqua
e il vento che fischiava sulla cima degli alberi. Lo stesso vento
che soffia giù nello Stretto, eppure è diverso.
Per un po’ mi son lasciato immaginare che ero morto
e mi stava bene anche quello, almeno per un paio
di minuti, finché non me ne sono ben reso conto: Morto.
Mentre me ne stavo lì sdraiato a occhi chiusi,
dopo essermi immaginato come sarebbe stato
se non avessi davvero potuto più rialzarmi, ho pensato a te.
Ho aperto gli occhi e mi sono alzato subito
e son ritornato a esser contento.
E’ che te ne sono grato, capisci. E te lo volevo dire (Per Tess).
Basta, in fondo, per esistere, trovare una ragione. E per Carver, quella ragione è la poesia che è fiume in cui riconoscersi e guarire, tra le cui onde provare l’orrore di perdersi, di chiudere gli occhi e non riaprirli e, insieme, ritrovare la forza di affrontare le onde, di nuotare e salvarsi. Giunto alla fine della propria vita, Raymond Carver si ritrova a fare un esame di coscienza:
E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos’è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra (Ultimo frammento).
Ci è riuscito? In ospedale, nei suoi ultimi istanti di vita – morirà il 2 agosto del 1988 a cinquant’anni – Tess gli è vicina. Lo scrittore sa che sono gli ultimi respiri, gli ultimi baci, gli ultimi sguardi. E Tess racconta:
“Non avere paura”, gli avevo detto. “Cerca solo di addormentarti subito” e, alla fine avevo aggiunto “Ti amo” – al che lui aveva risosto: “Ti amo anch’io” Cerca di dormire un po’ anche tu”.
L’ultimo atto di Carver è un atto d’amore. L’amore per Tess, l’amore per la vita, l’amore per la poesia. Ogni istante della sua vita si ricompone in quell’ultimo istante, in quell’”ultimo frammento” che racchiude tutto il senso dell’essere al mondo, amare ed essere amati. Sì, Carver ci è riuscito.
[“Clinamen” n. 17, novembre-dicembre 2020]