La speranza tra bellezza e sentimento

Nell’anno che va via abbiamo capito concretamente, ognuno a proprio modo ma tutti insieme, che cosa voglia dire perdere il senso dell’orientamento. Perché è accaduto questo, sostanzialmente. A un certo punto, da un giorno all’altro di un inverno sul finire, non abbiamo più capito da che parte si doveva andare, verso quale direzione fosse meglio orientare il passo. Allora si sono tentate le strade che sembravano più praticabili: però qualcuna aveva macigni che impedivano di andare avanti; qualcuna si mostrava più o meno libera ma comunque non si sapeva dov’è che potesse portare. Ci siamo disorientati ai bivi. Era inevitabile che accedesse questo. Probabilmente è inevitabile che accada ancora.

A un certo punto abbiamo compreso perfettamente quanto avesse ragione Zigmunt Bauman quando diceva che la versione postmoderna dell’incertezza non si presenta come un semplice fastidio temporaneo che può essere mitigato o risolto: il mondo postmoderno si sta preparando a vivere una condizione di incertezza permanente e irresolubile.

Però, tutti noi vorremmo che la condizione di incertezza nella quale ci ritroviamo si trasformasse in energia di creatività e in impulso alla progettazione di situazioni sociali e culturali di più forte dinamicità, di maggiore flessibilità, più orientate sulla persona: su ogni persona: propria quella, che ha un’identità, una storia, una memoria, una speranza, un futuro. 

Ecco, forse si dovrebbe  ricominciare proprio da qui, da una prevalenza del valore assoluto della persona in ogni contesto e in ogni situazione. Forse dovremmo soffermarci a riflettere sugli errori che abbiamo commesso nei processi e nei percorsi di massificazione ad ogni costo, perché alle volte il costo è diventato molto alto, comportando una deprivazione  dell’ unicità e dell’ autenticità della persona.

Di un anno che va via, a volte si ricorda un’atmosfera, a volte un particolare che ha una rilevanza di senso primario.  

Di questo anno che va via, di questo duemilaventi,  probabilmente ci porteremo nella memoria quell’immagine di un uomo solo in una piazza così deserta da sembrare sconfinata. L’uomo è triste, pallido, stanco. Il cielo rovescia sulla piazza una pioggia continua, insistente, furiosa.  L’uomo dice, sussurrando una preghiera, che fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, per le strade e le città, si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa, che si sente nell’aria, si avverte nei gesti, negli sguardi. L’uomo dice che ci siamo ritrovati impauriti e smarriti all’improvviso. Che ci siamo scoperti fragili e disorientati ma allo stesso tempo importanti e necessari agli altri.

Sono gli ultimi giorni del mese di marzo. L’uomo si chiama Jorge Mario Bergoglio.

E’ l’immagine dello sbalordimento di una civiltà davanti all’inatteso. Eppure, quella sera, da piazza San Pietro non veniva un senso di abbandono. Proveniva un senso di attesa. Quella piazza rappresentava l’umanità che attende il ricominciamento, l’incontro, l’abbraccio. Suscitava commozione. Francesco dava voce alla speranza. Ma diceva anche che non può essere una speranza solitaria, che la speranza dev’essere comune e della comunità del mondo e in una comunione del mondo.     

Di un anno che va via, spesso ci restano sul fondo dei ricordi immagini e storie che hanno il senso di un simbolo. Ecco, quell’immagine di un uomo solo, in una piazza deserta, assalita dalla pioggia, ha il significato di un simbolo che stringe molti  significati dell’anno che sta per finire. Soprattutto riverbera la bellezza che ha il sentimento della speranza.  

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 27 dicembre 2020]

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