Pochi giorni dopo (le coincidenze!), su «l’Opinione» del 15 dicembre, Pietro Di Muccio de Quattro, professore universitario e senatore, in una «Nota a margine: l’italiano e gl’Italiani» (segnalatami da Mario Nanni, giornalista parlamentare, autore di un bel libro intitolato «Parlamento sotterraneo» recensito su Nuovo Quotidiano il 21 dicembre) afferma senza mezzi termini: «L’italiano parlato dalle classi acculturate costituisce ormai una poltiglia linguistica fatta di anglicismi, espressioni oscure, vocaboli stravolti, grammatica e sintassi approssimative. […] Le classi acculturate hanno creato una cesura linguistica con la popolazione. Parlano per capirsi tra loro anziché per farsi capire. Non storpiano soltanto l’italiano ma pure l’inglese, con il risultato di adulterare due lingue parlandone una sola. Oggi il problema delle false notizie è meno grave del falso italiano. Con il vero italiano se ne va pure la parte genuina dell’identità degl’Italiani. Lo spirito di un popolo è inseparabile dalla lingua». Il 10 dicembre (le coincidenze!) la segreteria del nostro giornale mi recapita una lettera, scritta a mano, a me indirizzata dall’onorevole Giacinto Urso, persona che tutti rispettano e apprezzano, indipendentemente dalla collocazione politica. Con una grafia nitidissima, l’on. Urso (che puntualmente precisa: «conto quasi 96 anni») si chiede «perché, perfino nella attuale narrazione delle tribolazioni offerte dal “covid – 19”, si accentui – pure in documenti ufficiali – la già spiccata tendenza a usare una sequela di termini stranieri nel mentre in Italia, percossa da uno sconquasso plenario, si avverte la necessità di chiare, comprensibili parole, tutte nostre».
Le coincidenze significano sempre qualcosa. È attribuito ad Albert Einstein l’aforisma secondo cui «Le coincidenze sono il modo di Dio per rendersi anonimo». Forse la frase non fu coniata da Einstein. E, in ogni caso, non è necessario chiamare in causa l’Eterno per commentare quello che adesso ci interessa. Trovo assai significativo che quattro personaggi di primo piano, di estrazione e professione diverse, press’a poco negli stessi giorni, con toni vibrati levino la loro voce per opporsi all’immissione (che sembra inarrestabile) di anglicismi inutili nell’italiano. Ne abbiamo parlato altre volte. La spiegazione del fenomeno è relativamente semplice, nella sua drammaticità: in questa fase della storia il popolo italiano non nutre né fiducia né orgoglio nei confronti della propria lingua, anzi si mostra spesso disinteressato alle sorti della stessa.
Succede nel parlare quotidiano, succede nei documenti ufficiali emanati dalle istituzioni. Presso l’Accademia della Crusca (www.accademiadellacrusca.it) è attivo il gruppo “Incipit” che ha lo scopo di monitorare neologismi e forestierismi incipienti, nella fase in cui si affacciano alla lingua italiana, prima che prendano piede. “Incipit” esprime pareri sui forestierismi di nuovo arrivo impiegati nel campo della vita civile e sociale. Non per indicare autoritariamente rigidi modelli linguistici, ma per suggerire alternative agli operatori della comunicazione e ai politici, con le relative ricadute sulla lingua d’uso comune. Il più recente comunicato di “Incipit” prende in esame l’applicazione IO per cellulari, ideata per collegare l’identità digitale degli italiani (SPID) ai servizi della Pubblica amministrazione. Con essa, si potrà fra l’altro riscuotere il premio promesso per le transazioni mediante carta di credito e pagamenti elettronici, quello etichettato come «cashback», che invece si potrebbe definire «rimborso», in forma trasparente e comprensibile a tutti. La schermata che indica le modalità di applicazione dell’app. IO è farcita di termini come «onboarding», «brand», «renaming», «form», non saprei quanto conosciuti dai cittadini comuni. Finora, purtroppo, le modifiche e i miglioramenti suggeriti da “Incipit” non trovano ascolto presso chi può decidere.
La lingua non si governa a colpi di decreti legge, senza dubbio. Ma spetta ai gruppi dirigenti e alle classi culturalmente più attrezzate del paese cercare di incanalare le spinte e le controspinte cui è sottoposta ogni lingua viva. La lingua va difesa attraverso l’impegno delle istituzioni e il contributo dei singoli, insieme. Come l’ambiente, allo stesso modo. Abbiamo a un passo esempi a cui guardare. Paesi vicini a noi come la Francia, la Spagna, il Portogallo, la Germania si misurano con le stesse questioni e lo fanno in maniera enormemente più efficace. In Francia, nelle disposizioni e negli atti ufficiali, una parola straniera va usata solo a condizione che non esista già una onesta parola francese (che bell’aggettivo: onesta; «un honnête mot français», dicono loro) per designare la stessa cosa o esprimere la stessa idea. Traduco una sola indicazione, che potrebbe essere adottata con semplicità anche per l’italiano:
«Daremo spazio alle parole straniere solo quando sono veramente installate nell’uso e quando non esiste una onesta parola della nostra lingua per designare la stessa cosa o esprimere la stessa idea».
Se a questa indicazione ci conformassimo, molte oneste parole italiane rimpiazzerebbero senza difficoltà gli anglismi più o meno abusivi, poco radicati nella nostra lingua. Se diventassimo più vigili e meno superficiali, meno provinciali e meno subalterni, potremmo guardare con moderato ottimismo al futuro dell’italiano. Siamo noi che ne decidiamo le sorti.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 27 dicembre 2020]
Siamo veramente stufi dell’invasione della lingua inglese