di Adele Errico
Il Salento della lontananza, il Salento della poesia, il Salento del ricordo nelle parole di Antonio Prete.
Antonio Prete con “Tutto è sempre ora” (Giulio Einaudi Editore) è il vincitore della settima edizione del Premio Bodini. L’autore ha dialogato con Leccenews24 sulla poesia e sulla memoria, e sul Salento della poesia e sul Salento della memoria.
Antonio Prete è saggista, narratore, poeta e traduttore; è nato a Copertino nel 1939. Ha insegnato letteratura comparata a Siena e alla Scuola Superiore Galileiana di Padova. Ha tenuto corsi e seminari presso la Harvard University, il Collège De France, l’Università di Salamanca. Ha fondato e diretto la rivista “Il gallo silvestre”. Ha scritto saggi fondamentali: “Il pensiero poetante. Saggio su Leopardi”, “Nostalgia. Storia di un sentimento”, “I fiori di Baudelaire. L’infinito nelle strade”, “Trattato della lontananza”, “Compassione. Storia di un sentimento”, “Il cielo nascosto “ e “Grammatica dell’interiorità”. Ha tradotto Baudelaire, Mallarmè, Rilke, Valèry, Celan, Jabès, Machado, Bonnefoy.
Lei si muove fra più generi di scrittura: saggistica, narrativa, poesia, ai quali si aggiunge la traduzione, che è un altro genere di scrittura. Qual è la funzione prevalente della poesia?
Certo, ogni genere di scrittura ha una sua tradizione formale, una sua ragione interna, una sua storia, e risponde a una serie di convenzioni, o comunque a una sorta di patto silenzioso con il lettore. Così è anche della poesia, che è fatta di versi, e di silenzi tra le parole, e di spazi bianchi, e di musica che sta nelle sillabe, nei toni, nei rapporti tra le parole, insomma è fatta di suonosenso (suono inseparabile dal senso). Da questo punto di vista la poesia è come il momento distillato, cioè una specie di essenza, della lingua. Ma, devo aggiungere, citando un pensiero di Leopardi, che si può essere poeti anche in prosa. Quanto a me, accade di praticare tutte le forme che lei ha nominato, e tuttavia sento che con la poesia è come se si entrasse in una sorta di intimità con la lingua, e questo richiede una particolare responsabilità, ma anche una disposizione meditativa, un esercizio del vedere e dell’immaginare non disgiunto dal pensare intorno a quel che più importa.