La stessa frase «Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate» ricordo di aver letto alcuni anni fa sulle mura dell’edificio di via Tasso a Roma dove ha sede il Museo storico della Liberazione, allestito nei locali che, nei mesi dell’occupazione nazista di Roma (11 settembre 1943 – 4 giugno 1944), venne utilizzato come carcere dal Comando tedesco. Nella fase dell’occupazione l’edificio di via Tasso, fu la sede della Gestapo, sotto la guida di Herbert Kappler, colui che eseguì (24 marzo 1944) il massacro delle Fosse Ardeatine, nel quale furono uccisi 335 ostaggi italiani, rappresaglia per l’uccisione di 32 militari tedeschi in un attentato organizzato a Roma, in via Rasella, da un gruppo partigiano. Condannato all’ergastolo nel 1948, Kappler rimase nel carcere militare di Gaeta fino al 1976, allorché fu trasferito a Roma nell’ospedale militare del Celio, da cui evase (15 agosto 1977) rifugiandosi nella Repubblica Federale di Germania. Passarono per le prigioni di via Tasso circa duemila tra donne e uomini, partigiani, militari e cittadini comuni. Lì si veniva portati per essere interrogati, detenuti e torturati. Si usciva per essere destinati al carcere di Regina Coeli, al Tribunale di guerra (che condannava al carcere in Germania o alla fucilazione), alla deportazione, oppure, come accadde a molti, alle Fosse Ardeatine. Le celle di detenzione sono ancora come furono lasciate dai tedeschi in fuga. Stanze dedicate alla memoria di coloro che vi furono imprigionati, che ricordano le più drammatiche e significative vicende nazionali e romane dell’occupazione. A quelle mura i prigionieri affidarono la loro angoscia.
E dunque. In un momento decisivo della propria esistenza, angosciati all’idea di poter presto morire, uomini imprigionati (in Uruguay e in Italia) ricorrevano a Dante per manifestare i propri sentimenti. «Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate» è l’ultimo dei nove versi di un’iscrizione, verosimilmente in caratteri cubitali, vergata sulla sommità di una porta che immette nell’Inferno dantesco (Inferno 3, 19). Da lì sta per passare Dante, guidato da Virgilio, all’inizio del viaggio infernale. Quelle parole «di colore oscuro», cioè incise o impresse in nero (colore adatto al luogo minaccioso), indicano che da lì non si può tornare indietro. Dante trasferisce nella sua raffigurazione cristiana del mondo infernale la visione dell’oltretomba derivata dalla classicità latina. Stazio nella Tebaide, poema del I secolo incentrato sulla guerra mitica di Eteocle e Polinice sotto la città di Tebe, parla di «Taenariae limen … inremeabile portae», ‘limite della porta infernale da cui non si può tornare indietro’ (l’aggettivo tenario allude al Capo Tenaro, il punto più a sud della terraferma greca e della penisola balcanica, presso il quale i Greci ritenevano esistesse un accesso agli inferi). «Via irremeabile dell’eternità» campeggia, con grandi lettere maiuscole, nella controfacciata della cuspide che sormonta il colonnato d’ingresso che immette nel cimitero cittadino di Lecce.
Poeta che fonda la nostra identità nazionale, Dante appartiene al mondo. Sono molte le parole e le frasi di origine dantesca (o usate da Dante) che, per il semplice fatto di ricorrere nelle opere dantesche (in particolare nella Divina Commedia), entrano nella testa e nella memoria dei lettori, vi si radicano, acquisiscono una vita capace di attraversare i secoli, dando luogo a espressioni idiomatiche o a veri e propri proverbi, spesso usati in forme del tutto svincolate dal contesto originario. Citiamo Dante, talvolta senza sapere che lo stiamo citando. Nei contesti più impensati, dentro e fuori d’Italia. «Lasciate ogni speranza voi ch’entrate» era scritto sulle pareti di carceri atroci in Uruguay e in Italia. «Omnes relinquit spes, o vos intrantes» (‘la speranza abbandona tutti voi che entrate’), rielaborazione latina della frase infernale, è scritto sull’asfalto di Clinton Road, una strada dell’americano New Jersey su cui aleggia una leggenda metropolitana legata alla presenza di autostoppisti fantasmi che compiono efferatezze; segue sull’asfalto una stella a cinque punte inserita in un cerchio e, ancora più in grande, l’ammonimento «No hope» (‘nessuna speranza’). Ad un contesto meno tenebroso, ma pure difficile, riconduce la scritta «Lassate ogni speranza o voi k’entrate» leggibile sui muri di Bastogi, quartiere romano degradato, nel film «Come un gatto in tangenziale», con Antonio Albanese e Paola Cortellesi (dicembre 2017).
Dante è ovunque, anche dove non te l’aspetti. Qualche anno fa, un gruppo di ricerca dell’università di Roma organizzò un’inchiesta rivolta ad individuare le opere più rappresentative della letteratura europea, dalla antichità greca e latina fino ai nostri giorni. Al sondaggio parteciparono docenti di 28 università europee. In base alle loro risposte venne stilata una classifica degli autori e delle opere fondanti il canone della cultura europea, che per le prime sei posizioni era così costituita. Autori: Dante, Goethe, Shakespeare, Tolstoj, Cervantes, Dostoevskij. Opere: Chisciotte, Amleto, Commedia, Faust, Guerra e Pace, Madame Bovary. In modi e forme diversissimi la presenza dantesca si espande in tutta Europa, nel NordAmerica, nell’area Ispanoamericana, in Brasile, nel mondo arabo e in Cina.
Dante non è solo italiano, è universale.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 20 dicembre 2020]