Lo stesso vale con la natura: se scompare la Grande Barriera Corallina, non ci sono soldi che la possano riportare nelle condizioni precedenti. Non possiamo misurare tutto con i soldi. I soldi non servono, una volta che i danni sono fatti, ma servono per prevenirli: l’Europa promuove enormi investimenti per cambiare rotta e prevenire i costi futuri, e insostenibili, di una vecchia economia attraverso la cura della natura: il Nuovo Patto Verde. Per rispondere a chiamate i bandi devono essere letti con estrema attenzione, per ottemperare alle loro richieste in modo circostanziato. Fatto questo, si individuano le competenze rilevanti per rispondere alle esigenze poste dai bandi, si costituiscono gruppi di lavoro, si redigono progetti, e si presentano. I progetti devono elencare in dettaglio i risultati promessi e i tempi entro cui saranno conseguiti. Si deve prevedere di affrontare audizioni tecniche e finanziarie che valuteranno i risultati ottenuti e la natura delle spese. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, #Next Generation Italia (PNRR), è una risposta di 125 pagine elaborate per rispondere alle richieste del Next Generation EU. Mi occupo di biodiversità, un pilastro del Next Generation EU, e quindi cerco la parola biodiversità. Non c’è. Cerco ecosistemi. Ci sono, ma sono digitali, oppure dell’innovazione. Va bene, mi dico, però esiste un capitolo dedicato a Risorse Naturali e Ambiente, e poi c’è la “Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica”. Leggo, e vedo che l’ambiente è concepito solo come una risorsa. L’agricoltura la fa da padrona. La protezione della natura (il capitale naturale) non c’è. Ci sono le risorse idriche e il dissesto idrogeologico, i rimboschimenti, l’efficienza energetica. Il mare è assente (mi occupo di mare e quindi ci faccio caso). Quello che c’è va benissimo; mi preoccupa quello che non c’è: la natura, come asset inalienabile che deve essere protetto da future azioni che la concepiscano solo come una risorsa da sfruttare. Il Next Generation EU chiede che la biodiversità e gli ecosistemi siano trasversali a tutte le azioni, perché la sostenibilità si misura valutando lo stato dell’ambiente. Quanti esperti di biodiversità ed ecosistemi saranno stati reclutati nelle compagini ministeriali e nelle commissioni di programmazione? Azzardo una stima: nessuno. Si risponde con un’impostazione “vecchia” a un bando che chiede un’impostazione “nuova”. Non è colpa di chi lo ha redatto: ognuno propone quello che conosce ed è giusto che non entri in questioni in cui non ha competenza. Nelle proposte italiane manca un pilastro del Next Generation EU: l’ambiente, inteso come biodiversità ed ecosistemi da salvaguardare e non solo da sfruttare. Queste competenze non sono state reclutate.Azzardo una spiegazione: chi si occupa della conoscenza e della protezione della natura è visto come un freno allo sviluppo e non è nelle “agende di sviluppo”. Risultato: chi ha causato questa situazione viene chiamato a porvi rimedio, riproponendo vecchie ricette verniciate di verde. Temo che l’Europa non ci cascherà. Ma poi… forse ci cascherà. A dirigere la Mission sulla salute di Oceani, Mari, Acque Costiere e Interne è stato chiamato un economista duro e puro, ex Direttore Generale della World Trade Organization: cambiare tutto perché tutto resti come prima. I conti salatissimi della distruzione della natura arrivano, ma non colleghiamo gli effetti con le cause, curiamo solo i sintomi.
[“Il Secolo XIX” del 16 dicembre 2020]