Di mestiere faccio il linguista 27. Il linguaggio della cortesia (2)

Il latino della Chiesa diede più ampio vigore a questa voce della classicità, allargandone considerevolmente significati e usi. Presenza e ruolo della Chiesa nella storia delle lingue parlate e scritte dai popoli della cristianità (dai primi secoli fino ad oggi) sono enormi. Molte parole latine assumono un nuovo significato grazie all’uso particolare che ne fecero i testi cristiani. Basterà, a riprova, un solo esempio. Il latino «paganus» in epoca classica aveva due significati ben distinti: 1. ‘contadino’, ‘abitante di un villaggio’, in latino «pagus», termine amministrativo che indicava una circoscrizione territoriale rurale al di fuori dei confini della città; 2. ‘civile, borghese’, in opposizione a coloro che erano invece soldati e militi. Nel linguaggio dei primi cristiani la parola «paganus» assume un significato del tutto nuovo, trasmesso alla parola italiana «pagano», che significa ‘non cristiano’, ‘infedele’.

Con questo nuovo significato di ‘non cristiano’, ‘infedele’, la parola appare per la prima volta in un’epigrafe funeraria di Catania del IV secolo, che testimonia un episodio tragico di vita comune. Una bambina, Iulia Florentina, «pagana nata», in pericolo di morte, all’età di 18 mesi e 22 giorni, fu battezzata e «fidelis facta»: era nata pagana, all’interno di un nucleo familiare evidentemente lontano dal cristianesimo; in punto di morte fu battezzata e divenne fedele, cioè cristiana. Dopo il battesimo sopravvisse solo per quattro ore, quella bambina, e la sua sorte ancora un po’ commuove. In quest’esempio vediamo che la parola non significa più ‘abitante di un villaggio’ né ‘soldato, milite’ (si tratta di una bambina di un anno e mezzo). Il nuovo significato di ‘non cristiano’, ‘infedele’ si spiega forse perché l’idolatria aveva resistito a lungo nei villaggi e nelle campagne più che nelle città e quindi era quasi normale definire pagani gli infedeli. O forse perché se «paganus» significava ‘civile’, ‘borghese’ (e si contrapponeva a ‘milite’, ‘soldato’), con allargamento di significato poteva essere qualificato come pagano (con valore spregiativo) colui che non era ‘soldato di Cristo’, non apparteneva alla grande milizia di Cristo.

Comunque siano andate le cose, la lingua del Cristianesimo cambia il significato di «pagano» e di tante altre parole. Così, con modalità e per ragioni diverse, è avvenuto con «grazia» che, accanto a significati più tradizionali quali ‘delicatezza’, ‘armonia’, gentilezza’, ha sviluppato nel corso del tempo altri specifici della teologia cattolica: ‘insieme dei doni e degli aiuti soprannaturali che Dio concede all’uomo per guidarlo nella via della salvezza’; e anche, in accezione più comune, ‘aiuto che l’uomo chiede a Dio con la preghiera’.

Di fronte a un dono ricevuto (di qualsiasi tipo), si risponde dicendo «grazie». Non è una caratteristica della sola lingua italiana: «gracias», si dice in spagnolo; «gracies», si dice in catalano; «de grâce» ‘per favore’ in francese. Si tratta di formule di cortesia che nascono allo scopo di facilitare i rapporti tra gli esseri umani riducendo la conflittualità tra gli individui.  Allo stesso scopo risponde l’interiezione «prego», usata per rispondere a chi ringrazia o chiede scusa. Nella lingua delle belle forme il verbo «prego» è ampiamente usato, fin da epoca remota,  in espressioni come «Vi prego di accettare le mie scuse» e simili. Come formula di cortesia polifunzionale, concisa ed efficace, «prego» è attestato nell’italiano soltanto a partire dalla metà del diciannovesimo secolo (ricalca il tedesco «bitte»). Riscuote molto successo per via dell’automatico accostamento responsivo a «grazie»; lo stesso accade con il francese «je vous en prie» (accanto a «s’il vous plâit»), in risposta a «merci».

Per concludere. Le lingue adottano molteplici strategie verbali, formali e informali,  che favoriscono la comunicazione non conflittuale tra gli individui. Che alcune di queste parole derivino da preesistenti lemmi latini, ricorrenti anche nella lingua della Chiesa, è un fatto normale, di molte lingue moderne, non specificamente italiano. 

                                          [“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 13 dicembre 2020]

Questa voce è stata pubblicata in Di mestiere faccio il linguista (quarta serie) di Rosario Coluccia, Linguistica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

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