di Paolo Vincenti
«Uomo qual sei non dire mai che cosa accadrà domani né, vedendo un uomo felice, per quanto tempo lo sarà». (Simonide, fr.16 P. vv.1-2). Sono i versi di Simonide (Ceo, 556 a.C. – Agrigento, 468 a.C.), esponente, insieme a Bacchilide e Pindaro, della lirica corale greca fiorita fra il VI secolo ed il V secolo a. C. Poeta sostenuto da un forte relativismo e dalla consapevolezza della vanità del tutto, Simonide è autore di liriche ricercate e preziose. La considerazione dell’infelicità connaturata nell’essere umano lo porta ad una deriva pessimistica che si riflette nei suoi scritti, pensosi della morte e della fine delle cose, come questo threnos in cui si interroga sul senso della vita e della felicità. I treni erano i tipici canti di lutto nell’antica Grecia. Simonide esprime un concetto universale sul quale si sono esercitati tutti i più grandi letterati. Con amare parole, nell’Antigone, Sofocle afferma: «Nell’esistenza umana nulla è stabile, da potersi lodare o biasimare. La fortuna innalza e la fortuna abbatte chi è felice e chi è infelice, sempre. Di quanto è prescritto ai mortali nessuno è profeta». (Sofocle, Antigone, vv. 1156-1160 -traduzione E. Cetrangolo).