Di mestiere faccio il linguista 26. La lingua del politico

Ora Spirlì torna alla ribalta ancora per un uso particolare della lingua. Nei siti www.calabriamagnifica.it e www.ilreggino.it leggo sue dichiarazioni che riporto tra virgolette.  «In altri tempi avrei detto che il Governo “sta annacando il pecoro”. Annacare il pecoro significa tergiversare in maniera esasperata e inutilmente». «Da un mese – aggiunge –, stiamo aspettando il commissario e siamo non più al primo e neanche al secondo: abbiamo fatto ambo, terno e quaterna. Suppongo che ci stiamo preparando alla tombola e spero che non sia natalizia, visto che ancora manca un mese a Natale. Non è possibile che il Governo continui con questa girandola, con questo carosello veneziano di cavallini imbizzarriti, che hanno solo un nome e nient’altro. Non è neanche possibile che ogni nome proposto dal Governo sia bocciato dal Governo stesso. E tutto questo nonostante la nostra pazienza, la nostra disponibilità, il nostro impegno a lavorare, in questo momento di vacatio, al posto dell’esecutivo nazionale». […] «Dobbiamo chiederci – conclude il presidente ff – per quanto tempo ancora il Governo “annacherà il pecoro”. Noi siamo arrivati al colmo della misura».

I fatti politici a cui allude il politico calabrese sono noti: allude alla sequenza di nomine governative per il commissario della sanità calabrese, tanti nomi proposti e subito ritirati o dimissionati. Di questo non tratta (ovviamente) la nostra rubrica. La rubrica si occupa di lingua, e dunque dell’espressione «annacare il pecoro», che per la verità finora non conoscevo. La parola «pecoro» è forma maschile di «pecora», risponde al tentativo dei parlanti di differenziare il genere di umani, animali e vegetali. Lo facciamo con le persone (figlio-figlia, nonno-nonna, ragazzo-ragazza) e con gli animali (cavallo-cavalla, colomba-colomba, agnello-agnella), mentre con le piante la differenziazione tra maschile e femminile serve per lo più a distinguere la pianta dal frutto (melo-mela, castagno-castagna, olivo-oliva). Tornando agli animali, in Campania e in Calabria su pecora si è formato il maschile pecoro, in Umbria e in Veneto su oca si è formato il maschile oco.

Meno conosciuto è il verbo «annacare» che ha una storia e un’etimologia molto interessanti.  Il verbo nasce dal sostantivo «naca» che significa ‘culla’, in particolare ‘culla sospesa’, voce diffusa in tutta l’area meridionale,  insulare e continentale: Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Cilento, zona della Campania situata in provincia di Salerno, quasi ai confini della Calabria, nella parte meridionale della regione, impreziosita dalla Certosa di Padula e dai siti  archeologici di Paestum e Velia (la zona è patrimonio dell’umanità, uno dei tanti luoghi meravigliosi che la storia consegna alle popolazioni del Sud, spesso immemori e oggi più interessate a assordanti discoteche,  rumorosi centri commerciali e affollate spiagge agostane). La parola dialettale naca ‘culla’ nasce dal greco antico «nake», vello di pecora con cui si faceva la culla sospesa. La matrice greca spiega perché la voce sia diffusa solo nel Mezzogiorno insulare e continentale, cioè nei territori dove sin da epoca preromana si erano stabilite le fiorentissime e civilissime colonie di genti provenienti dalla vicina Grecia. Da naca deriva il verbo annacare/annacari con vari significati, più o meno diffusi in tutte le regioni che abbiano ricordato: ‘cullare’, ‘dondolare’, anche intransitivo ‘dondolarsi’, ‘fare l’altalena’,  ‘barcollare come un ubriaco’,  ‘muoversi ancheggiando’ (di una donna), ‘ondeggiare’ (delle messi), ‘beccheggiare’ (di una barca). Da qui, con facile passaggio semantico, ‘menare per le lunghe’, ‘perder tempo’, ‘tergiversare’, ‘cercare cavilli’. 

Numerose parole ed espressioni, usate o addirittura inventate da politici, entrano nella lingua comune e si generalizzano; non molti i dialettalismi, che pure non mancano. Deriva dal siciliano «’ntrallazzu» l’italiano «intrallazzo» ‘affare, traffico illecito, compromesso per procacciarsi illegalmente voti o favori’; attestato in Sicilia fin dal Quattrocento, diffuso in tutt’Italia dopo la seconda guerra mondiale, cattiva pratica purtroppo generalizzata, che contamina moltissimo la politica (da lì «intrallazzare» ‘ricorrere a compromessi e traffici illeciti per vantaggi personali’,  «intrallazzatore» ‘faccendiere, imbroglione’). È diventato popolare il continuo «che c’azzecca?» di Antonio Di Pietro, magistrato e poi politico, anche messo per iscritto in questa forma un po’ strana. Pare che risalga a Massimo D’Alema, deputato di lungo corso, ex presidente del Consiglio e ex di tanti altri incarichi, l’introduzione (alla fine del 1995, attraverso il linguaggio giornalistico) della parola «inciucio» (dal meridionale «’nciucio» ‘imbroglio’, ‘pettegolezzo’) che indica un ‘accordo informale tra forze politiche di ideologie contrapposte che mira alla spar­tizione del potere’ (da lì «inciuciare» ‘fare inciuci’, «inciucista» ‘chi intriga o tende a creare compromessi, accordi poco corretti, illeciti, in particolare in ambito politico’.

Tutti conoscono le parole precedenti. D’ora in avanti, diremo tutti annacare il pecoro?

                                           [“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 6 dicembre 2020]

Questa voce è stata pubblicata in Di mestiere faccio il linguista (quarta serie) di Rosario Coluccia, Linguistica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

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