Rohlfs (Berlino, 14 luglio 1892 – Tubinga, 12 settembre 1986) ha insegnato Filologia romanza nelle università di Berlino, Tubinga, Monaco. Era uno straordinario conoscitore della lingua italiana e dei suoi dialetti, in particolare dei dialetti calabrese e salentino, regioni meridionali che aveva linguisticamente esplorato palmo a palmo per decenni, almeno due volte all’anno (in primavera e in autunno), a partire dal 1921 fino a pochissimo tempo prima della morte, che lo colse ultranovantenne e ancora in attività. Ha scritto opere che ancora oggi si leggono con profitto; ha ricevuto lauree honoris causa da numerose università italiane, tra cui l’università di Lecce (non si chiamava ancora università del Salento), il 13 aprile 1973. Fu la prima laurea honoris causa conferita dal nostro ateneo, da poco fondato, accogliendo la proposta di un gruppo di linguisti diretto da Francesco Sabatini, che all’epoca insegnava Storia della lingua italiana e Filologia romanza a Lecce, oggi è Presidente onorario dell’Accademia della Crusca. Probabilmente alcuni lettori del Nuovo Quotidiano ricordano ancora quel professore tedesco di media statura, dalla folta capigliatura bianca, che con fare deciso ma sempre affabile intervistava gruppi di salentini (preferibilmente contadini e casalinghe, preferibilmente anziani) per conoscere e conservare un prezioso patrimonio lessicale dialettale che rischiava di arretrare, sottoposto alla pressione dell’italiano. Lancio una proposta. Chi ha conosciuto il professor Rohlfs scriva al giornale, forse ne verranno fuori episodi poco noti, che servirebbero a ricostruire in maniera inconsueta la personalità di un uomo e di un ricercatore eccezionale, amico delle popolazioni che parlavano il dialetto da lui appassionatamente studiato per decenni.
Il VDS abbraccia il territorio dell’antica Terra d’Otranto, entità tradizionale poggiata su dati storici e culturali. A partire dal capo di Leuca, i limiti geografici settentrionali dell’area esplorata da Rohlfs arrivano fino alla linea Grottaglie-Francavilla-Brindisi, abbracciando 138 località delle provincie di Lecce, Brindisi e Taranto: un censimento senza precedenti e, purtroppo, ancora senza uguali. Nel VDS la voce «ciòmmu» significa ‘persona malridotta, miserabile’, attestata a San Cesario; a Taranto esiste anche il nome proprio «Ciommə». Si tratterebbe di una deformazione dialettale dal nome proprio Girolamo. In Calabria esiste il nome proprio «Ciommu»; in quella regione la parola significa ‘uomo dal viso grosso’. Il passaggio dal nome proprio (in questo caso Girolamo) al nome comune non è un procedimento inconsueto, capita spesso nella lingua italiana. Ad esempio: mecenate ‘persona munifica che protegge letterati, artisti e simili’ (dal nome del patrizio romano Gaio Plinio Mecenate, protettore e amico di poeti e letterati); cicerone ‘persona eloquente’ (dal nome del filosofo e oratore latino Marco Tullio Cicerone); ecc. In un libro successivo al VDS, il «Dizionario storico dei soprannomi salentini (Terra d’Otranto)» (anche questo stampato dall’editore Congedo nel 1982), lo stesso Rohlfs attesta che il soprannome «Ciòmma» si trova a Trepuzzi e a Torchiarolo, «Ciommə» a Crispiano. Queste forme dialettali sarebbero da ricondurre a Girolamo. Ma, per la prima volta, Rohlfs formula un dubbio: «o da “ecce homo”?».
Esemplare l’onestà intellettuale del grande studioso, capace di mettere in discussione una sua ipotesi etimologica precedente. E fa bene: «ciommu» nasce dal lat. «ecce homo» ‘ecco l’uomo’, la frase evangelica (Giovanni, XIX 5) attribuita a Pilato nel presentare Gesù al popolo di Gerusalemme. Lo spiega un’altra opera straordinaria dedicata alla nostra lingua, il «Lessico Etimologico Italiano» (LEI), ideato e realizzato da Max Pfister, nato a Zurigo e professore all’università di Saarbruecken (capoluogo della regione tedesca del Saarland), diretto da Pfister fino alla sua morte (21 ottobre 2017), poi da Wolfgang Schweickard (università di Saarbruecken) e da Elton Prifti (università di Vienna). Lessicografo e etimologo grandissimo, Max Pfister. Anche a lui l’università di Lecce tributò la laurea honoris causa il 7 ottobre 1991, a suggello di un rapporto intenso iniziato anni prima, grazie al quale linguisti della nostra università hanno contribuito e contribuiscono alla realizzazione della grande impresa lessicografica internazionale e molti giovani hanno potuto beneficiare degli insegnamenti di uno dei maestri più grandi al mondo.
Il LEI spiega che derivazioni dal lat. «ecce homo» si continuano, in italiano e nei dialetti, con due significati fondamentali: 1. ‘immagine di Cristo sofferente’; 2. ‘persona malridotta, deforme’. Per quest’ultimo significato abbiamo «eccehomo» in Giusti, «ecceomo» in Carducci e in Pratolini, forme analoghe nei dialetti di tutt’Italia, dal Piemonte sino alla Sicilia. In particolare frasi accostabili a quella da cui è partito il prof. Schiavano si trovano a Pizzoli, nel territorio aquilano («fare come n’ecce òmo»), e a Bitonto («fa come a nu ecciòume»); anche il commento ‘ridurre qualcuno a malpartito’ si adatta perfettamente al nostro caso. A Trieste si dice «sonà come un eceomo» ‘dare un sacco di botte’. E altre varianti in molte località.
Dunque il nostro lettore ha ragione, «ciòmmu» discende dalla frase del vangelo di Giovanni. La continuazione non è solo salentina, si rinviene in altri dialetti, in tutt’Italia, in altre lingue discese dal latino. A conferma di un fatto ben noto: la lingua dei Vangeli, e in genere la lingua della Chiesa, ha lasciato tracce profonde nelle lingue e nei dialetti che noi oggi parliamo.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 29 novembre 2020]
Grazie molte, Professore, della risposta.