Molto accurata appare l’Introduzione per la dovizia di informazioni, assolutamente indispensabili ai fini di una piena comprensione dei contenuti delle lettere, ma soprattutto per le convincenti chiavi di lettura proposte dal critico, il quale con acume, dopo aver evidenziato l’iniziale punto di partenza «a-simmetrico, quasi agli antipodi» (p. 8) fra i due, individua negli anni 1960-1967 una sorta di spartiacque temporale e contenutistico, in virtù del quale «le distanze iniziali si riducono sensibilmente (o diventano più sfumate e produttive)» e i due condividono scelte ideologiche comuni e spesso del tutto contrastanti con i tentativi di ‘egemonizzazione’ della cultura operati in quegli anni dalla Neoavanguardia e dal Gruppo 63. Sicché, oltre ad un forte sentimento di reciproco rispetto, emerge dalle lettere, come lucidamente sottolinea Moliterni, «una strenua opposizione ai tempi correnti», una marcata «denuncia della scomparsa di valori positivi» (pp. 10-11), ma anche l’«apertura alle possibilità del futuro», per la verità più evidente in Roversi anche per la nota vena ‘pessimistica’ di Sereni. E mi pare che questa ‘strenua opposizione ai tempi correnti’, il rifiuto della mercificazione della letteratura e del libro in generale, la critica della scrittura come ‘pratica’ scrittoria siano i motivi più interessanti delle lettere, proposte dallo studioso con acribia e accuratezza filologica ˗ come si evince dall’utile Nota al testo ˗ e riccamente corredate da funzionali note esplicative e di commento.
Sono proprio le lettere nelle quali deflagra l’avvertita insofferenza nei riguardi dell’oceano di libri circolanti, di dubbia qualità, quelle più significative, in quanto portano alla ribalta un problema che andrà sempre più accentuandosi, fino ai giorni nostri, con scelte editoriali più attente alla quantità che alla qualità e, perciò, in grado di mettere in discussione la funzione stessa della letteratura. È in siffatte lettere che Roversi e Sereni distendono la penna, per così dire, e danno libero sfogo alle rispettive insoddisfazioni, utilizzando non di rado una prosa tagliente, con giudizi sferzanti, accuse pesanti, vere e proprie frustate critiche nei confronti di espressioni letterarie, autori e scelte editoriali di nessuna ‘utilità’ e, anzi, potenzialmente ‘distruttivi’. Da sottolineare talune efficaci scelte linguistiche: ad esempio, Sereni parla di ‘freddo, inerzia, poeticume’ (lett. del 13 gennaio 1962); Roversi (28 dicembre 1962) di ‘severa libertà di contraddizione’. E si potrebbe continuare, a conferma degli ideali, fermi e indefettibili, ai quali sia Roversi che Sereni ispirarono costantemente la loro azione intellettuale: il carteggio curato da Moliterni, compreso l’utile Indice dei nomi, va oltre l’offerta descrittiva ˗ peraltro usuale in lavori come questo ˗ perché permette al lettore di ripercorrere con dovizia di documentazione, le coordinate ideologico-tematiche entro le quali hanno operato i due interlocutori, fra cure private e impegni pubblici, offrendo stimoli per ulteriori esplorazioni.
Dunque, un plauso va a chi ha così intelligentemente curato il carteggio Roversi-Sereni, evidenziandone le problematiche connesse, tutte significative ed importanti.
[“Presenza taurisanese” anno XXXVIII n. 11-12 / Nov.-Dic. 2020, p. 6]