di Ferdinando Boero
Siamo abituati a dare un peso relativo ai morti. Quando leggiamo di un incidente ferroviario in India, o del ribaltamento di un battello sul Nilo, e apprendiamo che sono morte centinaia di persone, passiamo rapidamente ad altri argomenti. Eventi lontani, persone che non conosciamo, che non fanno parte del nostro gruppo etnico (si dice così, ora, per non dire “razza”). Anche quando muoiono a centinaia sulla porta di casa nostra (mi riferisco a chi scappa dall’Africa con i barconi) non ci smuoviamo più di tanto e c’è chi propone di prenderli a cannonate per fermarli prima che arrivino a darci fastidio. Se muoiono tanti italiani in qualche disastro, penso al Ponte Morandi, le fotografie delle vittime sono pubblicate sui giornali, con le loro storie. Magari ci sono lapidi che li ricordano, uno per uno. L’ultima volta che sono passato dalla Stazione di Bologna ho letto con commozione i nomi di tutte le vittime dell’attentato fascista del 1980. Pensando alle storie dietro ognuno di quei nomi, ai loro volti e alle loro famiglie. Ci commuoviamo se pensiamo che potrebbe succedere a noi.