Davanti a queste domande nasce un primo immediato stato d’animo, in cui l’essere umano avverte e subisce uno spiacevole opprimente sentimento di mistero, che lo stupisce e lo sbigottisce, ma nello stesso tempo lo appassiona e lo entusiasma. L’originario inevitabile sentimento del mistero si presenta, quindi, come la componente caratteristica – fondamentale e necessaria – dell’esistenza umana; esso investe la totalità dell’esperienza esistenziale. La realtà del mistero è la vita stessa, in cui sentiamo d’essere immersi: esso ci assale, s’impossessa della mente e del cuore, domina l’essere umano nella sua pienezza. Ci si sente, allora, avvolti da un’immensità indistinta, partecipi involontari e spauriti d’una realtà molto più antica e più ampia della propria singolarità. Ciascun uomo è una piccola entità vagante in un universo indistinto; è una minuscola totalità proiettata in un cosmo smisurato, del tutto sconosciuto e, comunque, ancora totalmente estraneo.
Dapprima incombono profondi sensi d’angoscia, di stupore, di vertigine. In seguito, però, s’affaccia pacatamente una luce, discreta ma vigorosa, che, dapprima lentamente e poi sempre più decisamente, rischiara l’anima, sussurrandole meditate riflessioni. Successivamente nasce e s’accresce la consapevolezza sempre più evidente della potenza delle proprie facoltà, che così s’incamminano fiduciose per un faticoso itinerario d’intuizione, di ricognizione, di vaglio, di comprensione. Allora l’iniziale estraneità si dilegua e diviene compartecipazione consapevole e condivisa, l’angoscia svanisce e cede il passo alla fiducia che rinfranca e rinvigorisce, lo sbigottimento s’acquieta e si trasfigura in curiosità che incoraggia, la vertigine scompare e si sublima in entusiasmo.
A questo punto l’essere umano è preparato per intraprendere il cammino, che l’avvia alla ricerca e lo condurrà verso il ritrovamento del tanto agognato “senso” dell’esistenza propria, dell’umanità e dell’universo. Nell’adempiere questo sogno, egli non si risparmia alcuna fatica, non arretra davanti ad alcuna difficoltà, affronta e vince ogni ostacolo. Però, ciò nonostante, alla fine deve prendere atto che la sua ragione, con tutte le argomentazioni possibili – sicuramente importantissime e indispensabili – non può costituire o esaurire l’intero orizzonte dell’esistenza, in quanto essa non riesce a far attingere il senso totale della vita. Le dimostrazioni razionali forniscono indubbiamente molti aspetti delle realtà del mondo fisico, animale e umano; ma davanti alle pressanti domande riguardanti il “senso ultimo della vita” esse s’arrestano e, arrendendosi definitivamente, dichiarano il loro limite e la loro inadeguatezza. Infatti, per quanto la ragione umana si sforzi, rimane sempre sommersa dalla nebbia impenetrabile del mistero, che le rimane comunque inaccessibile.
Questo stato d’animo dapprima getta l’anima nello sgomento e nell’ ansia; in seguito, però, fa nascere il bisogno di superare ogni timore e ansietà e proseguire con fiduciosa audacia nella ricerca del senso vero dell’esistenza. L’uomo, allora, va avanti saggiamente nell’indagine, utilizzando il contributo e il sostegno di altre sue facoltà, delle quali riscopre tutta la validità e ricchezza. S’affida, quindi, alla volontà, che gli consente d’impadronirsi e d’arricchirsi di nuovi aspetti di realtà e di verità, precluse all’indagine solamente conoscitiva. Tuttavia, nemmeno così riesce a squarciare completamente il velo, che nasconde il senso autentico e indubitabile della vita umana e del cosmo. Anzi, qualche volta, si vive ancora più confuso e si sente smarrito nelle nebbie dell’offuscante ammasso di contraddizioni evidenti e indiscutibili.
La realtà, infatti, da un lato si presenta come un tutto ordinato e ben governato, ma dall’altro lato si mostra in una prospettiva inquietante di disordine e caos, fonte d’ingiustizia e d’irrazionalità. La complessa meravigliosa armonia del cielo stellato è quanto mai sublime, e la silenziosa contemplazione della sua smisurata vastità infonde nell’animo stupore, ammirazione e pace; e tuttavia l’astronomia documenta fenomeni giganteschi, incontrollabili, terrificanti. Allo stesso modo, il ciclo vitale del mondo vegetale e animale, nella sua molteplicità e perfezione mostra sorprendenti quadri di bellezza; e tuttavia, proprio per la concretizzazione di tale meraviglioso ordine, sono necessari atti egoistici, forse anche cruenti, ma indispensabili per la propria sopravvivenza, per la conservazione e la successione delle specie. La stessa formazione della vita umana, considerata nei suoi intimi, delicati e amabili momenti, suscita sentimenti di meraviglia e di tenerezza; e tuttavia anch’essa registra fenomeni di sofferenza, spesso impone rinunce molto dolorose, talora nasconde desolanti fallimenti. Già nell’origine della vita umana, quindi, emergono e s’impongono non poche e penose contraddizioni.
E’ innegabile, pertanto, che la realtà è ambivalente e contraddittoria. Perciò, quando si va alla ricerca del senso della vita, non si può fare a meno di riconoscere la presenza sia del mistero sia della contraddizione. E’ una situazione che richiama il pensiero di Immanuel Kant: l’umana ragione si rende conto di avere a che fare con un cosmo tanto immenso e misterioso che non potrà mai conoscerlo veramente; la contraddizione, però, è antinomia, non assurdità, in quanto consiste nel conflitto tra due leggi, entrambe legittime, anche se in contrasto tra di loro. E anche nell’indagare il senso della vita si presenteranno due leggi, le quali, intrecciandosi in modo inestricabile, costituiscono la condizione umana contraddittoria in se stessa, perciò destinata a imprigionare il pensiero dell’uomo.
Questa situazione esistenziale contraddittoria mostra con somma chiarezza una grande verità: nelle vicende dell’umanità e del mondo non tutto è prestabilito con rapporti di necessità, ma parte è affidata anche alla responsabilità di ciascun uomo, il quale con le sue scelte libere, orienta e determina gli accadimenti. Questa verità non è raggiungibile con il solo intelletto, né è data nella sua interezza dalla volontà. L’essere umano – secondo il filosofo tedesco – è dotato anche di un profondo “sentimento”, per mezzo del quale egli percepisce ogni sapore (anche i gusti, i colori, i suoni, i profumi) della vita: è il sentire dell’anima, la percezione da parte della nostra più intima personalità del sapore della vita nella sua totalità. Esso spalanca le porte del nostro piccolo io e ci fa guardare verso tutti gli esseri (non solo umani, ma anche animali, vegetali, inanimati come le pietre e le nuvole), con i quali entriamo in empatia e viviamo una comunanza di fondo, quasi come in una rete che tutti racchiude, quasi un grembo comune dal quale tutti siamo stati generati e al quale tutti desideriamo ritornare. Grazie al sentimento, gli esseri umani – ciascuno nella singolare e irripetibile personalità – intuiscono ciò che non vedono, e lo sentono come realtà originaria e finale, che abbraccia tutti gli esseri e a cui tutti gli esseri aspirano come loro ultima meta.
Allora, l’essere umano, “minuscola totalità” gettata nell’infinito cosmo imperscrutabile, apparentemente arrendendosi davanti alle dure evidenze della ragione, si rifugia nel grembo dell’imponderabile e dell’ignoto, e affida tutto se stesso al flusso spontaneo, libero, incontrollabile, primordiale dell’Essere Totale e Trascendente. Solo allora egli intuisce e rispecchia in sè l’armonia e la bellezza dell’umanità e dell’universo; s’accorge, con singolare immediatezza e straordinaria semplicità, di aver “trovato” il senso autentico della vita anche umana. Esso è la “speranza”. Lo aveva già sostenuto Immanuel Kant, insostituibile filosofo della razionalità umana considerata in tutta la sua integralità. Anch’egli s’era imbattuto nei meandri del “mistero”, dopo essersi chiesto cosa “potesse sapere” e “dovesse fare”. Le risposte razionalmente “logiche” a questi due quesiti non gli rivelavano il senso autentico e totale della vita; allorquando formulò il terzo quesito, cioè cosa gli fosse “lecito sperare”, gli risultò sciolto l’enigma. Infatti, nel suo sentimento sentiva riflettersi l’armonia cosmica e la pacificazione tra gli uomini e i popoli, come verità cui anelare e realtà da realizzare: quindi oggetto dello “sperare” legittimamente.
La speranza, pertanto, non è una virtù come o addirittura inferiore alle altre (come aveva sostenuto Aristotele). Essa, invece, è la sintesi dell’intera personalità umana. Infatti, ogni uomo è la sua speranza, in quanto egli viene definito veramente solo da ciò ch’egli spera. La speranza è il traguardo che si vuole raggiungere, lo scopo che sollecita e rinforza le scelte che si compiono quotidianamente. La salute, gli averi, il potere, il dominio su cose e persone possono essere stabiliti e perseguiti come finalità ultime della propria speranza, per cui è consequenziale che si faccia tutto in loro funzione. Lo scopo perseguito è la speranza; quindi, ogni uomo è la sua speranza. Ecco perché la speranza è la sintesi della vita umana, investendo la totalità unitaria dell’uomo, in cui ragione, volontà e sentimento si uniscono e generano qualcosa di superiore che dà il sapore complessivo alla personalità. Un uomo vero è tale non in base a ciò che possiede, né a ciò che conosce, e nemmeno a ciò che riesce a realizzare, ma solo in base a ciò che è, in quanto essere individuale e irripetibile: certamente è anche il proprio corpo fisico, la propria professione, ma è ancor più la sua speranza, cioè la tensione totale e il gusto della sua vita, che da lui s’espande e che gli altri percepiscono sempre e comunque.
La speranza, quindi, è fondamento ed essenza della vita umana. E, tuttavia, essa non è mai qualcosa d’immutabile, di risolutivo, d’indiscutibile. Infatti, la speranza rimane sempre speranza, non diventa mai conoscenza certa o realtà conquistata. Essa non è mai un dominio che si possa governare o realizzare. E, allora, che cosa si può sperare per la vita propria e degli altri? Che cosa si può sperare, senza venir meno o ingannare la propria natura razionale? Si tratta – direbbe Kant – di uno sperare legittimamente, tale, cioè, che non raggiri la propria ragione e che, nello stesso tempo, preservi dall’arroganza di quelli (non pochi) che sono convinti che la vita è un inganno, dove vanno avanti solo e sempre i furbi. Quindi, alla domanda in che cosa poter sperare, si deve rispondere – sempre con l’aiuto di Kant – in modo molto semplice e immediato: che l’ultimo orizzonte della vita umana non sia il presente e il contingente ma l’eterno e l’assoluto, non l’assurdo ma il senso, non il nulla ma l’essere, non il male ma il bene, non la morte ma la vita.
L’uomo ragionevole può legittimamente sperare solo questo: che viva per qualcosa più grande di lui, che esista una dimensione dell’essere più grande del suo piccolo io destinato a scomparire. Che esista davvero una dimensione di Infinito e di Totalità, in cui tutto trovi e abbia senso.