L’anno scorso, come quest’anno, ho tenuto corsi a distanza: insegnare all’università è molto più facile che insegnare alle elementari e non ho avuto alcun problema. I miei studenti sono adulti e nativi digitali e io ho iniziato a maneggiare computer negli anni ottanta, senza mai fermarmi. Ce la siamo cavata egregiamente. Abbiamo un gruppo whatsapp, mi scrivono email, mi mandano i loro elaborati, metto loro a disposizione filmati e documenti disponibili dalla più grande biblioteca del mondo: quella a cui si può accedere via internet e dove, con le credenziali universitarie, si possono leggere gli articoli di moltissime riviste scientifiche. Manca la pratica delle esercitazioni, e per quello dobbiamo attendere tempi migliori, ma intanto possiamo procedere in modo spedito usando gli strumenti messi a disposizione dalla rete.
Ho diretto per molti anni un museo di biologia marina visitato da migliaia di studenti, dalle scuole materne all’università. Insegnare ai bimbi (e alle bimbe) in età prescolare è entusiasmante, avendo a disposizione un museo con uno squalo elefante lungo otto metri appeso al soffitto. Basta prenderli uno per uno e metterli nella bocca dello squalo. Dopo un’esperienza del genere sono pronti a tutto e si può parlare anche di plancton (il cibo dello squalo elefante), basta mantenere la tensione delle sorprese. Con loro temo sia più difficile, in assenza di squali di otto metri, tenere alto il livello di attenzione parlando da uno schermo. Ma sono certo che i professionisti sono in grado di farlo.
Abbiamo creduto che la Didattica a Distanza fosse una breve parentesi da dimenticare presto. Invece pare che dovrà proseguire a lungo. Il Massachusetts Institute of Technology ha inventato i MOOC, Massive Open Online Courses, per la popolazione molto dispersa degli Stati Uniti. Si tratta di un’evoluzione dei corsi per corrispondenza. Forse sarebbe bene realizzare i MOOC per tutti i livelli di istruzione, mettendoli a disposizione su piattaforme televisive e digitali. Non dico che i corsi debbano essere “congelati” in filmati di pretesa attualità perenne, ma si potrebbero “tenere in frigo” per utilizzarli quando i prodotti freschi, dal vivo, non fossero disponibili. Per rinnovarli ogni volta che le conoscenze richiedessero aggiornamenti. Sono necessari corsi di aggiornamento per i docenti, e la digitalizzazione del paese deve essere completa: come tutti possono avere la televisione, così tutti devono poter accedere alla rete. Negli anni sessanta il Maestro Manzi raggiungeva i paesini più sperduti, e oggi abbiamo difficoltà di collegamento a internet in grandi parti del paese. Facciamo di necessità virtù e adeguiamo l’Italia a standard di efficienza digitale non procrastinabili. I nativi digitali ora tendono a rimbecillirsi con i videogiochi, ma hanno potenzialità di apprendimento inaudite attraverso gli strumenti che hanno a disposizione e che sanno utilizzare perfettamente. Bisogna reinventare la didattica. Per la socializzazione, una volta che il COVID sarà un ricordo, si potrebbe anche pensare di far ritornare i bambini in strada, fuori, liberi di organizzarsi nei loro giochi. Senza costringerli a stare seduti ore e ore in un banco, con o senza rotelle. I miei amici d’infanzia erano i miei compagni di giochi, non necessariamente i miei compagni di scuola. Ridare ai bimbi la possibilità di uscire liberamente di casa per giocare potrebbe portare a risultati formativi di un qualche rilievo.
[“Il Fatto Quotidiano” del 17 novembre 2020]