di Antonio Prete
Un po’ spoglia, la magnolia fa trame
nel pallore del cielo. Di là da essa
il bruno scollinare delle crete
verso torri annebbiate, verso il nero
dei castagni. Nella stanza, sfuggite
alla rapina dell’oblio, salgono
parvenze. Un esercizio amaro è dare
un nome a quello che è perduto. Un viso
sta nell’ombra, da un angolo mi guarda
con un sorriso che è d’enigma o forse
di dolcezza, e con voce fioca, “anch’io,
dice, sono una chimera, o una piuma
che svola inconsistente nel mai più”.
.
Dal tempo qui raccolto nell’angustia
dell’accaduto, dal tempo disperso
nei miraggi, mi distraggo guardando
tra il folto dei cipressi il lampo rosa
delle case sul poggio di Fogliano,
e sento, nella luce di dicembre,
che l’assenza del mare è opaco assillo,
privazione che orchestra questa danza
d’ombre. È l’assenza di una bianca riva
il principio che intorbida il già stato.