Non saprei dire se un’operazione di questo genere sia facile o sia difficile. Quello che mi sembra di intuire è che sia inevitabile, indispensabile.
Qualche volta si ha l’impressione che non si tratti di qualcosa di estremamente difficile, perché quello che sta accadendo da alcuni mesi è determinato da un fenomeno naturale che direttamente e immediatamente coinvolge le forme di pensiero, i processi e le rappresentazioni culturali. Se natura e cultura si combinano, forse la trasformazione dei modi di pensare si può verificare senza grandi fratture. Si potrebbe dire che i mutamenti culturali avvengono in modo naturale. Certo, può sembrare assai approssimativo, ma spesso l’approssimazione è un metodo che consente di adeguarsi alle trasformazioni senza avvertire traumi, senza farsi travolgere dagli accadimenti.
Basta riflettere un istante soltanto sui significati che assumevano fino ad otto mesi fa la vicinanza fra le persone, l’abbraccio, la stretta di mano, tutte quelle manifestazioni frequenti che rientrano nella sfera delle relazioni sociali e amicali.
Quei significati sono completamente cambiati. A volte hanno assimilato il loro contrario. A volte possono anche fare paura. Invece di cercare la vicinanza si cerca in ogni modo di stabilire una distanza. Ci si vieta l’abbraccio, la stretta di mano. Ci stiamo confrontando con un’esperienza che forse non abbiamo mai neppure immaginato. Stiamo conoscendo il senso del vuoto tra un corpo e l’altro, un vuoto che pensiamo possa servire da protezione, possa preservarci dall’insidia.
Abbiamo attribuito significati nuovi a quelle espressioni. Rispetto ad esse abbiamo maturato un pensiero nuovo. Potrebbero sembrare riferimenti marginali ma non lo sono perché costituiscono espressioni del rapporto fra le persone. Molte altre cose, molti altri comportamenti, dipendono da quelli. Molte altre decisioni, molte altre scelte, più o meno importanti, più o meno essenziali, che riguardano la realtà che viviamo ogni giorno.
La fila. In ogni piccolo paese, in ogni grande città ci sono persone che fanno la fila. Pazientemente. Rassegnatamente. Si fa la fila per qualsiasi faccenda, dappertutto. Per rendersi conto della necessità di un pensiero nuovo non è necessario confrontarsi con la complessità delle forme della politica, dell’economia, della sanità, della formazione, del lavoro. Basta osservare gli altri, osservare se stessi, nelle faccende di ogni giorno. La fila. Ad almeno un metro uno dall’altro. Ordinatamente. Con la mascherina. Molto spesso in silenzio. Senza protestare. Al fare la fila abbiamo dato un significato nuovo di precauzione per se stessi e per gli altri. Non avevamo mai pensato la fila in questa maniera; non le avevamo mai dato questo significato. Stiamo consegnando significati nuovi ai verbi vivere, convivere, condividere, comunicare, partecipare.
Allora, forse il pensiero nuovo è già maturato o sta maturando innanzitutto nelle piccole storie di ogni giorno, nei gesti consueti, nei comportamenti consueti, nei rapporti tra esistenze che si incontrano da sempre, tra quelle che si incontrano per la prima volta. Sta maturando in modo naturale. Una condizione della natura sta realizzando la trasformazione di una condizione della cultura.
Probabilmente è stato sempre così. La storia in fondo si ripete, anche in questo. E’ stato sempre così, quando ci ha fatto piacere e quando ci è dispiaciuto. Adesso ci dispiace. Adesso speriamo di poter tornare presto ai significati che abbiamo messo da parte, al pensiero vecchio al quale siamo affezionati, di cui sentiamo una profonda nostalgia. Al pensiero nuovo, in questo caso, saremmo veramente felici di poter rinunciare.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 8 novembre 2020]