La scomparsa di Mario De Marco

La nostra era un’amicizia inossidabile, non solo e non tanto per le comuni esperienze politiche giovanili, dalle quali col tempo ci eravamo scostati, quanto per una condivisa visione della vita improntata al rispetto dell’individuo, alla ricerca della verità, alla giustizia sociale. Amicizia neppure scalfita dall’aver lui aderito più tardi alla Massoneria ed io rimasto con le mie opinioni sull’inopportunità di società segrete in regime di libertà.

Nella Massoneria aveva avuto avanzamenti di grado e acquisito prestigio e riconoscimenti, ma soprattutto aveva maturato una compostezza interiore ben lontana dai suoi impeti giovanili. La sua era stata una scelta convinta, coerente ad una visione della vita metapartitica e fondata sulla fratellanza umana. Era diventato più incline a comprendere e più disponibile ad aiutare. Di qui anche la sua propensione associazionistica, di cui ha raccontato soggetti e aspetti. Per anni è stato socio e dirigente della Società di Storia Patria per la Puglia nelle sezioni di Novoli, che aveva contribuito a fondare, e di Lecce.

Era figlio di un legatore di libri e si pregiava di essere lui stesso un rilegatore, avendo ereditato l’arte e tutti i ferri del mestiere del padre, Vito Fiorino, che Mario ha ricordato in un breve ma denso profilo biografico in una pubblicazione sull’arte tipografica e legatoria a Lecce. Molti volumi della sua fornitissima biblioteca – a mio avviso tra le più importanti che ci siano in zona sulla storia locale – se li è rilegati da sé, opere rare, alcune in fotocopia, non facilmente reperibili altrove.

Nel lavoro di ricerca era molto paziente, non procedeva se non aveva il documento che sapeva esserci da qualche parte, che alla fine riusciva a procurarsi. La gioia di averlo in possesso superava a volte perfino la soddisfazione dell’opera finita.

Ebbi modo di seguire questo suo culto per il documento e la sua perseveranza di ricercatore in occasione del profilo biografico di Guido Porzio, lo storico vaniniano degli inizi del ‘900, che scrivemmo insieme nel giugno del 2008. Riuscì ad avere testi e foto, grazie alle sue numerosissime conoscenze, che si estendevano in tutta Italia, e confezionammo un opuscolo, le cui modeste dimensioni fanno torto alla sua importanza; esso infatti consente di conoscere lo studioso piemontese, di cui si sapeva ben poco, oltre i suoi interessi per Vanini, negli aspetti più importanti della sua vita e della sua opera.

Scriveva a macchina. Non aveva mai voluto “assoggettarsi” al computer. Scriveva di getto in una sola copia, apportando solo rade e lievi correzioni a penna. Il che denota quanto fosse sicuro della materia e della sua tenuta scrittoria nel momento in cui passava alla fase della stesura. Diceva che il computer lo avrebbe distratto dal pensiero che doveva tradurre simultaneamente in parole. Non aveva del tutto torto. Il mezzo di scrittura ha una parte non irrilevante nella fissazione scritta del pensiero. La sua prosa era semplice, asciutta, nomi e fatti in periodi disadorni, con opportune e distese citazioni.

La sua produzione è molto vasta, la si può conoscere dalla sua voce sul “Dizionario Enciclopedico dei Salentini” di Carlo Stasi, che arriva fino al 2018. La si può così enucleare per generi e temi: profili biografici di artisti, artigiani, scrittori, studiosi e personaggi leccesi su giornali, riviste e libri; storie municipali e guide di diversi comuni del Salento; monografie su monumenti e chiese leccesi; raccolte di iscrizioni latine tradotte in italiano tratte da monumenti, luoghi e chiese; storia della Massoneria delle tre provincie di Terra d’Otranto Lecce, Brindisi e Taranto; i cavalieri templari a Lecce e nel Salento; gli ebrei nel Salento; saggi e monografie su filosofi come Platone, Nietzsche, Kierkegaard, Ortega y Gasset, Evola. Numerosi i suoi editori, fra cui i più importanti Capone di Cavallino e Grifo di Lecce. Ha diretto le riviste di cultura locale “Rassegna Salentina”, “Presenza & Memoria” e “Lu Lampiune”. Ha avuto come collaboratori in alcune pubblicazioni chi scrive, Gaetanina Ferrante Gravili e Elio Pindinelli.

Meritano un’attenzione particolare i suoi lavori sulla Massoneria e sui massoni, di Lecce soprattutto, ma anche di Brindisi e di Taranto. Qui ha veramente svolto un lavoro di segugio, ha creato dal quasi nulla, dal confuso e dal frammentario, ha rammendato brandelli di notizie e di fonti, mettendo insieme una notevole mole di documenti che consente di conoscere una materia che a Lecce e in Terra d’Otranto ha avuto ed ha molta importanza per la storia locale. La sua monografia su Giuseppe Libertini è imprescindibile opera di consultazione oltre che per la Massoneria anche per gli studi sul Risorgimento salentino, che egli ha trattato in altre più specifiche ricerche.

Dire che la sua scomparsa lascia un vuoto nella cultura salentina potrebbe sembrare un luogo comune. Così non è se si pensa che il suo lavoro di ricercatore e di divulgatore di cose leccesi e salentine è stato ampio, onnicomprensivo, prezioso. Il vuoto lasciato potrebbe essere solo in parte colmato pubblicando quanto del suo lavoro era stato ultimato ed era in attesa di pubblicazione, oltre che riprendendo il suo filo e la sua lezione.

Il vuoto lasciato negli amici, invece, nei suoi “fratelli”, nei suoi estimatori, quello resta, come spia sempre accesa della sua memoria.

[“Presenza taurisanese” a. XXXVIII n. 10 / ottobre 2020, p.11]

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