Ricordo dell’amico e dello studioso
di Gigi Montonato
Mario De Marco era nato a Novoli il 30 aprile del 1946, residente a Lecce fin da giovanissimo. Alla sua terra natale sarebbe rimasto sempre molto legato. Lo conobbi nella prima metà degli anni Sessanta nell’ambito della “Giovane Italia”, l’organizzazione degli studenti medi del Msi, io segretario della sezione di Taurisano e lui dirigente in federazione addetto ai rapporti con la provincia. Eravamo studentelli, ma molto determinati a far sentire la nostra presenza nel dibattito politico-culturale sempre più animato di quei tempi, culminato di lì a qualche anno in quel Sessantotto che ci colse universitari. Non ho ricordi particolari di Mario di quel periodo. Ci siamo incrociati da docenti in qualche istituto negli anni preruolo e nel sindacato-scuola della Cisnal, rimanendo in continuità di vicinanza, anche collaborativa. Ci ritrovammo negli anni Settanta su “Voce del Sud” di Ernesto Alvino, dove lui si occupava di critica d’arte ed io di cultura politica.
Si era laureato nel 1971 in Storia della Filosofia presso l’Università di Lecce con Giovanni Papuli con una tesi su Jacopo Zabarella. La sua carriera scolastica si è svolta nell’insegnamento della storia e della filosofia, fino alla sua ultima cattedra al Liceo Classico “Palmieri” di Lecce, in parallelo alla sua attività giornalistica, anche nelle televisioni locali, in cui ha condotto per anni rubriche di arte e di cultura (Telelecce Barbano, Tele Sud, Tele Onda, Radio Queen).
La morte lo ha colto domenica, 6 settembre, all’età di 74 anni, epilogo liberatorio da una penosa condizione di sofferenza. Il male lo aveva colpito nel maggio scorso mentre era al lavoro, intento a portare a termine l’ennesima sua opera storiografica.
Il suo studio, alla Corte dei Rodi, era una mia abituale tappa leccese. Conversazioni brevi – aveva sempre da scrivere ed io ne rispettavo i tempi – poi il bar più vicino per il caffè e via, l’a presto. Spesso si univa a noi l’amico Lorenzo Capone, editore di molte sue opere, e insieme, spesso con altri amici, trascorrevamo parte della mattinata. Sembrava un tempo fermo, ripetitivo, tanto durava da anni.