di Rosario Coluccia
Mi colpiscono alcune notizie che in questi giorni appaiono sui giornali. Toccano tutte, a ben guardare, il medesimo argomento: come usiamo la lingua, come parliamo e scriviamo. Ma al loro interno contengono anche, per alcuni punti, profonde differenze sostanziali che lasciano trasparire visioni del mondo lontanissime, forse tra loro inconciliabili.
A metà settembre Ursula von der Leyen, presidente della Commissione dell’Unione Europea, ha pronunciato davanti al Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria a Bruxelles, il discorso sullo Stato dell’Unione, annunciando le priorità delle azioni per i prossimi mesi. L’ultima parte del discorso è stata dedicata alla difesa delle diversità, di vario tipo. I progressi nella lotta contro la discriminazione e il razzismo sono ancora fragili e per questo la Commissione europea si propone di cambiare passo, procedendo dalla condanna all’azione. Non possono essere più tollerati comportamenti ispirati dalla discriminazione e dall’incitamento all’odio per ragioni collegate alla razza, alla religione, al genere o alla sessualità. Anche la lingua deve fare la sua parte, le parole devono corrispondere alle finalità ideali che l’organizzazione sovranazionale intende perseguire. L’obiettivo è la costruzione di una società basata sull’uguaglianza, nella quale ognuno può essere sé stesso e dare corso alle proprie inclinazioni senza paura di subire disparità di trattamento o recriminazioni di nessun tipo. In troppe circostanze queste ancora si manifestano, non sono pochi gli esempi da non imitare, come il seguente. In alcune città della Polonia sono state introdotte le cosiddette zone «LGBTQI free», cioè libere da persone LGBTQI. Libero da qualcosa che fa male, recita la formula; la stessa che nei mesi passati, con orgoglio e vanto, finché era possibile, si è usata per definire le «zone covid free». Ma quelle «LGBTQI free» sono zone senza umanità, non possono trovare posto nell’Unione, denuncia von der Leyen. Cerco nell’Oxford English Dictionary (il più importante dizionario della lingua inglese) il significato della sigla LGBTQI. Eccolo: «Lesbian, gay, bisexual, transgender, queer (or questioning) and intersex», insomma le persone non eterosessuali che collettivamente rivendicano di non essere discriminate in base alle inclinazioni sessuali. Obiettivo del futuro vivere civile in Europa è il «mutuo riconoscimento delle relazioni familiari nell’Ue». Quello che vale per la maggioranza dei paesi dell’Unione deve valere per tutti, senza eccezioni, dichiara giustamente la presidente.