Al di là del titolo che vuol essere accattivante, la petizione tocca contenuti di vasta portata, non è una sollecitazione un po’ fatua alla “bellezza”. Confesso che questa parola, un tempo preziosa, comincia a infastidirmi. Troppi la usano a caso, senza specificarne i contenuti e applicandola a oggetti e situazioni diversissimi. Una fortunata antologia di Umberto Eco del 2004 puntava a ricostruire la «Storia della bellezza» attraverso le immagini di centinaia di capolavori pittorici di tutti i tempi e una vasta antologia di testi, da Pitagora ai giorni nostri. Il libro mirava a illustrare le modalità differenti attraverso le quali nel tempo è stata variamente concepita la bellezza della natura, dei fiori, degli animali, dei corpi umani, degli astri, dei rapporti matematici, della luce, delle pietre preziose, degli abiti, di Dio e del Diavolo. Né si può dire che l’aspirazione a definire la bellezza sia tramontata. Lo ha fatto a modo suo Paolo Sorrentino, nel film di grande successo del 2013. L’aggettivo bello viene a volte applicato anche alle lingue. Si sente parlare di lingua bella (o di lingua brutta) ma non si tratta di concetti scientifici, le lingue non sono né belle né brutte; si tratta di una superficiale impressione acustica o. al più, di una formula letteraria. Oggi la parola bellezza viene evocata con le finalità più varie, specie quando chi sproloquia non ha argomenti reali a sostegno delle proprie ragioni. Troppi parlando genericamente di bellezza si sottraggono alla discussione dei fatti concreti.
La petizione non è neanche un nostalgico invito a ripristinare nella scuola del ventunesimo secolo pratiche didattiche del passato. Fino alla scuola degli anni ’60 del Novecento bambini e ragazzi si sono sempre esercitati nella bella scrittura. L’ora di calligrafia era inserita fra le materie di studio; poi fu abbandonata, giudicata strumento educativo sorpassato, mortificante della creatività. Tuttavia i ragazzi di quegli anni compitavano temi, riassunti e diari con nitidezza e pulizia quasi tipografiche. Molto diversa la forma esterna dei testi elaborati da gran parte degli studenti di oggi. Da anni gli insegnanti della scuola primaria e media segnalano la crescente difficoltà dei loro allievi a scrivere manualmente; il docente chiamato a leggere e a valutare decifra con difficoltà il compito scritto del proprio alunno. Nei testi redatti a mano i caratteri appaiono incerti e disallineati, con parole mal disposte sul rigo, con i tratti delle singole lettere a volte difficili da decifrare, con vacillanti legamenti tra una lettera e l’altra, con incongrui miscugli di stili e di caratteri nelle stesse parole o nella stessa sequenza di parole: corsivo e stampatello, maiuscolo e minuscolo. Non vale solo per i bambini delle elementari o al massimo delle medie. La difficoltà di scrivere a mano è presente in adolescenti delle scuole secondarie superiori e coinvolge in maniera preoccupante i giovani universitari. Spesso gli scritti manuali degli studenti medi e universitari rasentano l’indecifrabilità ed esprimono pensieri sconclusionati, resi in una forma che non rispetta gli standard minimi di coerenza e coesione.
La scarsa connessione neuro-cerebrale tra pensiero e manualità crea ritardi nello sviluppo del linguaggio, parlato e scritto. L’aspirazione a una scrittura ordinata e ben leggibile non è un fatto estetizzante. Interessa invece lo sviluppo cognitivo di bambini e adolescenti, fondamentale perché coinvolge il pieno recupero di una capacità umana molto antica che corriamo il rischio di perdere. La scrittura è stata inventata più o meno cinquemila o cinquemilacinquecento anni fa, quasi contemporaneamente e indipendentemente in due territori diversi, in Egitto e in Mesopotamia, la terra tra i fiumi Tigri ed Eufrate, corrispondente alle zone di Siria e di Iraq di cui oggi ci ricordiamo solo per le guerre, per gli attentati e per i morti. Diciamolo in maniera esplicita. La scrittura a mano non può essere sostituita dalla scrittura digitale, sono entrambe utili perché assolvono a funzioni diverse. Nel mondo occidentale i bambini sono fortemente sedentarizzati; alcuni non sanno abbottonarsi i vestisti o allacciarsi le scarpe (sono in gran voga scarpe senza lacci, definite “a strappo” o “con strappi”; praticissime, assicura la pubblicità, e crescono le vendite delle scarpe a strappo); altri non sanno lavarsi i denti da soli; altri non riescono a fare operazioni semplici (tracciare cerchi e rettangoli con l’aiuto di compasso e di righello) o addirittura attività semplicissime (ridurre un foglio di carta in segmenti più piccoli tendenzialmente uguali). E, nello stesso tempo, mostrano carenze espressive e linguistiche. Redigere testi scritti in maniera nitida e ordinata è un eccellente allenamento cerebrale.
Una ricerca coordinata da Benedetto Vertecchi, università di Roma Tre, ha mostrato che, con opportuno allenamento alla scrittura manuale, bambini di terza, quarta e quinta elementare, migliorano progressivamente la qualità grafica dei loro testi e nello stesso tempo ottengono una maggiore appropriatezza ortografica e una più accurata selezione del lessico. Il crescente esercizio della scrittura non aumenta semplicemente l’abilità nel tracciare segni sulla carta, migliora la qualità intrinseca dello scritto, l’articolazione del pensiero e la coesione del testo. A livello cerebrale esiste un legame tra attività manuale e area del linguaggio, che si influenzano reciprocamente. Nel tracciare manualmente i caratteri del corsivo al cervello del bambino è richiesto uno sforzo in più, la forma di ciascuna lettera deve essere continuamente plasmata perché sia possibile legarla alle altre. Si tratta di una sfida che non è presente nel carattere stampatello o quando si adoperano strumenti elettronici come il touchscreen, che richiedono una gestualità semplice e ripetitiva.
Quando è il caso, possiamo guardare fuori dai confini senza paura di passare per aprioristici esterofili. Per riflettere, non per imitare alla cieca. In Inghilterra da qualche anno molte scuole hanno reintegrato l’uso della penna stilografica, per invogliare gli studenti a imparare di nuovo la bella grafia; in Francia gli istituti superiori sono tornati al dettato, visto che gli studenti non tracciavano più gli accenti sulle parole. La battaglia per il recupero della grafia e per il recupero della scrittura a mano ben delineata merita grande attenzione. Senza demonizzare, ovviamente, l’accesso a pc, tablet e smartphone che devono affiancare, non sostituire, la modalità tradizionale di scrittura.
Vecchio e nuovo possono convivere, non sono in contrasto, l’uno non esclude l’altro. Accostiamoci al nuovo senza rinunziare al vecchio, è questa la sfida.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” dell’11 ottobre 2020]