Ma io non sono sicuro che le cose stiano come ce le dipingono. Non sono sicuro che i professori siano quelli che vediamo alla tv, sui social, sui giornali. Secondo me, ci sono “altri professori”. Che non sono però una nicchia, una élite, un gruppo di eletti. Sono i professori che scrivono, studiano, parlano spesso di tutt’altro che di attualità o, se parlano di attualità, lo fanno in maniera “inattuale”, sganciandosi cioè dagli stereotipi e dalle macchiette, e dunque non rientrando a nessun titolo in un nessun format. È gente – secondo me, la stragrande maggioranza di chi insegna – che si sveglia al mattino e fa il proprio lavoro come un netturbino, un impiegato o un manager. Con senso, cioè, della necessità inevitabile e con fantasia. Due esempi di professori che nel corso di questa pandemia sono stati capaci di non farsi schiacciare dai proclami benpensati dei media e della politica, e a far sentire la loro (altra) voce con grande coraggio, sono Emanuele Coccia e Giorgio Agamben. Ma potrei citare allo stesso modo tanti scrittori di Zibaldoni, che in questi mesi hanno continuato a scrivere, e tanti altri che su altre riviste e in altri luoghi eterocliti si sono espressi e si esprimono in modi discreti o prorompenti, ma sempre defilati rispetto al vociare massificato. Si esprimono senza disprezzare l’attualità, lo ripeto, ma guardando molto al di là di essa, ispirandosi a una sorta di ultrafilosofia che si fonda sulla necessità e la fantasia.
Riprendendo a fine marzo Zibaldoni e declinandolo come Zibaldoni d’eccezione, in fondo era già questo che avevo in mente. Non tanto dare voce a chi non ce l’ha, ma scoprire un’altra voce che sta dentro o dietro (o sopra o sotto) di noi. E che è una voce possibile oltre ogni fissità, nella quale rischiamo sempre di cadere se ci facciamo incantare dalle sirene dell’attualità. Quando la ministra Azzolina ha dichiarato, con il suo abituale tono indolente, che “la scuola non sarà più come prima”, ho avuto la sensazione che l’incubo della straordinarietà continuerà a lungo, e dunque che sono pronti a cucirci addosso nuovi vestitini, a farci indossare nuove maschere, a farci interpretare nuove menzogne. Volesse il cielo che la scuola non fosse più come prima! Ma è evidente che il cambiamento che si prospetta non è nella direzione che hanno in mente quelli che guardano oltre, bensì quello che ottunde le menti e ingabbia tutto in schemi ormai inutilizzabili.
Zibaldoni va avanti per la sua strada “eccezionale” e dà il via a questa nuova rubrica con grande fiducia nella voce degli altri professori che prenderanno qui la parola non tanto per esprimere la loro opinione (finiremmo di nuovo nel calderone dell’attualità!), ma per far sentire la loro dirompente vitalità. Che è fatta anche di cose minime, di piccole idee, e di storie, di versi, di saggi critici. Perché se la scuola può cambiare, può cambiare soltanto a partire da questa immensa capacità creativa, umiliata e nascosta al pubblico soltanto perché il pubblico preferisce spettacoli e fenomeni da baraccone, e dunque facili lacrime o risate oppure odio e sentimentalismo a buon mercato.
Chi non si adegua a questo andazzo, legge Zibaldoni e altre meraviglie e ascolta gli altri professori che io spero costituiranno presto una lunga teoria tra i Banchi di Michele Ruele. C’è poco altro da dire o da fare.
[“Zibaldoni e altre meraviglie” del 24 settembre 2020]