Banchi 2. Altri professori

di Enrico De Vivo

Discutendo con Michele Ruele della sua nuova rubrica, Banchi, dedicata alla scuola e inaugurata su Zibaldoni e altre meraviglie lo scorso 14 settembre, mi è venuto in mente il titolo (solo il titolo) di un libro di alcuni anni fa di Marco Lodoli, I professori e altri professori. E ho pensato che in fondo in Italia esistono “altri professori”, o meglio professori altri, o professori diversamente professori, se preferite.

Ma altri rispetto a chi?

Da anni ormai, e con insistenza negli ultimi tempi, i media e la politica propagandano uno stereotipo relativo ai professori, ai maestri, ai docenti in ogni ordine e grado – dalla scuola dell’infanzia all’Università – legato ad alcune tipicità: fannullonismo, didatticismo, menefreghismo, sindacalismo, precarismo, e di recente pavidità e vigliaccheria (basta sfogliare i titoli del Corriere della sera di questi mesi). Il risultato paradossale di questo stereotipo tutto da studiare (il populismo c’entra, ma c’entrano anche tante altre cose), è che molto spesso i professori stessi finiscono per adeguarvisi senza batter ciglio, e dunque a parlare, agire e ragionare come se veramente fossero una manica di debosciati, sempre bisognosi di qualcuno che dica loro quello che devono fare.

Sono in soggezione dappertutto e con tutti, anche con il loro cane. Hanno paura di parlare, non hanno voce da nessuna parte, nessuno li interpella mai e nessuno conosce il loro punto di vista. Da quando è cominciata la pandemia, hanno preso la parola un po’ tutti in pubblico: i professori quasi mai, o, se lo hanno fatto, hanno assecondato le tipicità e gli stereotipi di cui sopra, impersonando il ruolo che veniva loro assegnato dal format di turno.

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