Va rilevato che a seguito della sospensione del Fiscal Compact (il Trattato che impone zero deficit) qualche timido segnale di riforma si intravede e un sarebbe auspicabile accelerare i tempi. Ciò per numerose ragioni che rendono l’attuale architettura istituzionale europea molto disfunzionale e che alimentano le derive sovraniste.
In primo luogo, nelle condizioni date, il mercato unico tende spontaneamente a generare al suo interno crescenti diseguaglianze, con Paesi forti – Germania e Paesi satelliti – che crescono grazie ai surplus commerciali che generano e Paesi deboli – fra i quali l’Italia – che arretrano. In tal senso, senza interventi correttivi il mercato unico europeo è, per sua natura, fonte di squilibri.
In secondo luogo, proprio per l’esistenza di squilibri, i Paesi periferici tendono ad avere maggiore disoccupazione e ad aver necessità di maggiore spazio fiscale. I Paesi del Nord, per contro, possono crescere esportando e imputano ai Paesi del Sud indisciplina di bilancio: tecnicamente è ciò che viene definito moral hazard e che ha a che vedere con l’uso della spesa pubblica per fini improduttivi.
In tal senso, l’attuale costruzione europea dà luogo a un conflitto fra Paesi che teoricamente dovrebbero cooperare in un’area comune.
Ben venga anche una revisione degli obiettivi della BCE. Se la BCE, come la FED, si dà non solo, come ora, l’obiettivo di tenere bassa l’inflazione, attraverso alti tassi di interesse, ma anche di tenere alta l’occupazione, attraverso bassi tassi di interesse, vi è da aspettarsi un aumento del tasso di crescita nell’eurozona e verosimilmente una riduzione degli squilibri ai quali si è fatto riferimento.
Una politica di bassi tassi di interesse ha infatti, come conseguenza, maggiori investimenti privati a parità di aspettative degli imprenditori sui profitti futuri.
La combinazione di politiche monetarie espansive e politiche fiscali espansive può, in definitiva, costituire un argine efficace alla crisi in corso, a condizione che queste si rendano possibili sul piano istituzionale. Per farlo, occorre che l’Europa segua il percorso intrapreso dagli Stati Uniti e dunque occorre che due delle maggiori economie al mondo diano segnali di svolta rispetto alle politiche restrittive fin qui praticate.
Un punto essenziale riguarda il coordinamento: se è vero che siamo all’inizio di un punto di svolta nella gestione della politica economica su scala globale, è da auspicare che le misure adottate vengano prese in modo coordinato, soprattutto per evitare che maggiore spesa pubblica in un’area si traduca in sistematiche condizioni di deficit della bilancia commerciale e tendenza al protezionismo.
Il contesto per il cambiamento è favorevole, dal momento che, anche per la crisi in corso, la traiettoria deflazionistica che i maggiori Paesi OCSE hanno imboccato fa sì che di misure di contrasto all’inflazione ci sia sempre meno bisogno.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 20 settembre 2020]