Il problema è, dunque, capire quale è l’esatto confine che corre tra questi due termini, distinzione e separazione. Per capirlo, basti leggere il commento di Casella alle opinioni di mons. Colli, vescovo di Parma: “… non si metteva in discussione l’autonomia e l’indipendenza dello Stato nella sfera di sua competenza; né si negava allo Stato il diritto-dovere di tutelare la libertà religiosa di tutti, anche dei non cattolici. Si voleva piuttosto manifestare il timore, e su questo attirare l’attenzione dei fedeli, che si volesse costruire uno stato moralmente autonomo; uno stato cioè (per usare le parole di mons. Mimmi, arcivescovo di Bari) che “non intende di sottoporsi a nessuna morale superiore e non vuole seguire quale regola per la propria azione che il proprio interesse…” (p. 128). Insomma, distinzione vuol dire che lo Stato è distinto dalla Chiesa, ma ad essa “moralmente sottoposto”, mentre la separazione comporterebbe la libertà dello Stato di agire esclusivamente secondo “il proprio interesse” e senza alcuna subordinazione morale alla Chiesa. Questi concetti sono a fondamento di quel “progetto di ‘Stato cristiano’ elaborato dalla gerarchia e dalla cattolicità nell’era della Costituente” (p. 142), a cui va tutta la simpatia di Casella. Simpatia negata, è ovvio, agli argomenti, a cui pure si riconosce il pregio “della chiarezza e della coerenza” (p. 107), del socialista Pietro Nenni, che respingeva “fermamente la tesi del cattolicesimo di Stato e anche quella, gemella, del “cattolicesimo dello Stato”, propugnata dall’Osservatore Romano”. Nenni denunciava “il lato negativo del cattolicesimo in genere e di quello italiano in specie … rappresentato dalla collusione con lo Stato, con qualunque Stato, assolutista o costituzionale, e perfino fascista. La Chiesa diventa così un instrumentum regni e si espone a tutte le corruzioni inerenti a collusioni di questo genere”. E finiva col concludere (siamo nell’agosto del 1945): “Libera la Chiesa di pensare che lo Stato il quale astrae dalla religione è ateo. La verità è che noi non vogliamo né lo Stato cattolico né lo Stato ateo, ma sebbene lo Stato laico, che assolve il suo compito di educazione del cittadino senza invadere il campo della religione. Ora il laicismo non è in antagonismo con la religione cattolica. Esso postula una separazione di poteri e di funzioni, che conferisce alla religione una più grande dignità in quanto la colloca al di sopra della politica. E’ cioè nella sua formulazione e nella sua attuazione moderna un omaggio e non un oltraggio alla religione” (p. 107).
Non passerò in rassegna le altre posizioni dei partiti minori e maggiori e le singole questioni su cui la polemica sui rapporti tra Stato e Chiesa infuriò nel periodo che Casella prende in esame; tutte cose che trovano un ampio e istruttivo riscontro nell’ultima parte del volume (pp. 193-397) dal titolo Antologia documentaria: religione e politica nelle carte di polizia dell’Archivio centrale dello Stato: L’”Azione politica del clero” nei rapporti di Prefetti, questori e carabinieri (1943-1948). Ormai è chiaro al lettore quale sia l’impianto ideologico del lavoro, tutto volto a confutare le tesi contrarie al primato morale della Chiesa nella società italiana, che Casella compendia nel nome di anticlericalismo. In effetti, già nell’Introduzione, che, come si è detto, racchiude la motivazione e il punto di vista dell’intera opera, Casella aveva scritto che è “l’anticlericalismo che qui ci interessa” (p. 11). Ebbene sì, questo saggio può proprio riassumersi così, come un saggio sull’anticlericalismo, visto dalla parte di chi è contrario alla separazione tra Stato e Chiesa, mentre è favorevole, nei modi che si sono indicati sopra, alla distinzione tra i due poteri, col proposito, neppure tanto segreto, di fondare uno Stato cristiano. E che la storia raccontata da Casella tratti di una questione di potere, non c’è da dubitare. Il fascismo defunto aveva lasciato campo libero tra il 1943 e il 1948 alla disputa su chi dovesse avere il primato degli italiani. La storia è vecchissima, e del tutto attuale, irrisolta e irrisolvibile come tutte le questioni di potere, che si ripresentano immutate ogniqualvolta esso passa di mano. Da questo punto di vista, se pensiamo a quando è avvenuto alla Sapienza nel gennaio 2008, una sola conclusione è d’obbligo: nihil sub sole novi, con buona pace dello storico.
[Anticlericalismo (recensione a Mario Casella, Chiesa e società in Italia tra fascismo e democrazia. Il conflitto sulla laicità dello Stato (1943-1948), Congedo Editore, Galatina, 2008), “Il Galatino” di venerdì 12 giugno 2009, p. 3; poi col titolo Sull’anticlericalismo “Il Paese Nuovo” di martedì 20 ottobre 2009, p. 6. ]