Grazie è una delle più belle parole che esistono. Come tutte le parole belle è una parola semplice e breve. Grazie. Semplicemente. Brevemente. Ma questa semplicità, questa brevità della parola, contiene lo sconfinato universo dell’esperienza con l’Altro, con la sua identità, le sue emozioni, le sue ragioni, con l’espressione del suo essere e del suo esistere, con la dimensione della sua prossimità, della reciprocità dell’appartenenza. Come tutte le parole belle, grazie esprime la bellezza delle idee, concetti poderosi. Per esempio esprime la consapevolezza che non tutto ci è dovuto, che molto di quello che abbiamo, forse tutto, lo dobbiamo agli altri. Che molto di quello che siamo, forse tutto, lo dobbiamo agli altri. Anche se qualche volta ci rammarica il pensiero che senza gli altri non siamo assolutamente niente, che abbiamo bisogno dell’aiuto, del conforto, dell’affetto, della comprensione, dell’amicizia, dell’amore degli altri. A volte il pensiero ci rammarica; spesso ci fa immensamente piacere. Agli altri dobbiamo la nostra origine, il nostro essere venuti da queste parti. Ma poi, se anche non dovessimo nulla a nessuno, se anche tutto quello che siamo, che abbiamo, lo dovessimo soltanto a noi stessi, se non altro dovremmo dire grazie a noi stessi. Oppure quelli che ci credono dovrebbero dire grazie a Dio, e quelli che non ci credono dovrebbero dire grazie alla sorte o alla fortuna, o a qualcosa di diverso. Comunque un ringraziamento a qualcosa, a qualcuno, lo dobbiamo, indubbiamente.
Però la parola grazie si fa sempre più rara. Forse perché aveva ragione Aristotele quando diceva che la cosa che invecchia prima di ogni altra è la gratitudine. Però, probabilmente aveva più ragione Seneca che a Lucilio diceva che è meglio non ricevere gratitudine piuttosto che non fare del bene.
Forse si dovrebbe avere gratitudine anche verso le parole, verso i libri. Per esempio: si dovrebbe dire grazie a Leopardi per le parole che ha scritto, per la sua capacità di portare chi lo legge oltre la propria siepe.
Poi si dovrebbe dire grazie a Beethoven, a Mozart, a Fabrizio De Andrè.
Poi a Michelangelo, Caravaggio, Van Gogh.
Poi – soprattutto- a tutti quegli sconosciuti che passano la vita in un laboratorio per impastare una pastiglietta che ti fa abbassare la pressione. Poi a tutti quelli che ci hanno insegnato a mettere una dopo l’altra le parole, a combinare i numeri, a leggere una carta geografica, a interpretare i fatti della Storia, a rispettare le idee di tutti, sempre, comunque, anche quando non si condividono, anche quando possono sembrare banali.
Forse abbiamo bisogno di riscoprire – soggettivamente, collettivamente, come civiltà- la bellezza del ringraziamento.
La gratitudine è un sentimento che crea vincoli di relazione corrispondenza di significati fra gli esseri umani. Ma non solo: non solo fra gli esseri umani. Gli animali ci sono grati per tutta la vita se facciamo qualcosa per loro. Ce lo dicono con i comportamenti, con gli occhi, con un miagolio, un guaito, quando si accucciano ai nostri piedi.
La bellezza della gratitudine si esprime con forme concrete, essenziali. Semplici e brevi come la parola grazie. A volte sono forme consuete, quotidiane; a volte insolite, inaspettate. Possono avere la forma di uno sguardo silenzioso che cancella ogni arroganza, ogni presunzione, l’egoismo, l’avarizia, l’incomprensione, che richiama una disponibilità al dialogo, una prossimità, un’aderenza, una consonanza esistenziale.
Chissà se quando Dostoevskij diceva che sarà la bellezza a salvare il mondo non si riferisse proprio alla bellezza della gratitudine, che significa riconoscimento dell’incalcolabile valore che hanno gli altri per ciascuno di noi, per il valore che ciascuno di noi ha per qualcun altro.
Forse il mondo non sarà salvato dalla strabiliante meraviglia di una cattedrale barocca, né dall’armonia di una musica suprema, non sarà salvato dall’altezza vertiginosa di un poema, ma sarà salvato da quella parola semplice e breve che in una qualsiasi lingua, o con il linguaggio di uno sguardo silenzioso, un bambino sussurrerà o rivolgerà ad un altro, una mattina, in un’aula di scuola.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 13 Settembre 2020]