La sua acropoli era cinta da mura a blocchi squadrati che, per tecnica e dimensioni, ricordano le mura di Castro, databili al IV sec. a.C. Nel terreno di risulta, dalla pulizia delle mura, Torsello aveva recuperato un frammento di cassetta in terracotta dipinta, della stessa epoca, appartenente al rivestimento del tetto di un sacello: sull’acropoli dunque c’erano edifici sacri. Attualmente il luogo è inaccessibile ma, certamente, qui sorgeva l’abitato più antico già nell’età del Bronzo e la possibilità di condurre scavi archeologici permetterebbe di sciogliere tanti enigmi. Da qui partivano le strade che si diramavano in varie direzioni a raggiungere un territorio ricchissimo, verso l’approdo della marina di Novaglie ad est, verso la costa ionica e l’abitato di Vereto con il suo approdo a Torre S. Gregorio, e poi in direzione sud, per raggiungere Leuca con i suoi abitati dell’età del Bronzo e il luogo di culto della Grotta Porcinara, scoperta da Cosimo Pagliara, dove poi l’Università aveva fatto gli scavi che hanno aperto nuove prospettive di ricerca nel Salento.
Tra i cimeli conservati da Torsello c’è anche una copia del volume sull’archeologia del Messapi, il catalogo della Mostra realizzata nel 1990 presso il Museo Castromediano, che avevo lasciato per la Biblioteca comunale nel 1997, con la dedica: “affinchè Montesardo acquisti “visibilità” nell’archeologia del Salento” e che mi ha riportato a quegli anni in cui sembrava si potesse avviare un grande progetto di valorizzazione del sito, con una collaborazione tra Università, Soprintendenza e Comune. Poi, tutto era stato bloccato dall’intervento dell’ispettore di allora, il dott. Paolo Ciongoli, il quale, aveva rivendicato, come rappresentante della burocrazia ministeriale, la sua esclusiva competenza sugli scavi (una sorta di feudale “ius primae noctis”) e aveva fatto eseguire alcuni interventi di emergenza in cantieri edili: di questo nulla è stato pubblicato, né si è dato inizio ad un reale intervento di tutela e di valorizzazione di questo straordinario sito.
Ma non tutto è perduto! ancora si conservano per centinaia di metri i resti delle fortificazioni che racchiudono un’area di più di ottanta ettari, come negli altri centri dominanti della Messapia: Ugento, Muro Leccese, Rudiae, Oria. Ci sono materiali archeologici da studiare, come il corredo da una tomba conservato presso il Museo Castromediano, e poi c’è lo straordinario paesaggio intorno alla collina dell’acropoli, ancora ben conservato sul versante orientale. Bisognerà metter mano ad un Progetto complessivo di valorizzazione, in cui convergano competenze e conoscenze da affidare come obbiettivo alla nuova Amministrazione Regionale, se questa vedrà nell’Archeologia una risorsa per la Puglia; potrà essere anche una ripartenza, per ricostruire il paesaggio rurale devastato dalla xylella, e Montesardo potrà diventare un luogo di sperimentazione per far tornare gli ulivi nei luoghi che li avevano accolti per più di tremila anni, dal tempo in cui i Cretesi di Minosse erano sbarcati da queste parti, traformandosi, come dice Erodoto, da isolani, che abitavano Creta, in continentali, salentini e iapigi.
(F. DE LUCA, Montesardo (Lecce): Fotografia Aerea e ricognizioni
topografiche, in Archeologia Aerea. Studi di Areotopografia
Archeologica 4-5, 2012, pp. 374-375).
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 13 Settembre 2020]