La pietra della paura

di Gianluca Virgilio

Terrori infantili

Qualche volta la domenica mattina i miei genitori decidevano di cambiare chiesa e di ascoltare la messa in una parrocchia diversa dalla nostra: la scelta ricadeva sulla Basilica di Santa Caterina, che univa al fascino dell’antichità quello dei dipinti murali, allora piuttosto malandati, ma pur sempre ben visibili, soprattutto in alto, dove la mano dei turisti più dissennati non era arrivata a lasciare una firma, una data o un frase ricordo, incise invece più in basso, nel colore della calcina. Uno strano timore si impadroniva di me mentre mi avvicinavo alla Basilica, prendendo per mano mio padre o mia madre, all’uscita da via San Francesco su piazzetta Orsini, quando da lontano vedevo le sagome dei due leoni acefali che sorvegliano l’ingresso centrale. Allora puntavo i piedi e chiedevo a mio padre di entrare in chiesa da uno dei due ingressi laterali, che, non avendo all’apparenza nessun sorvegliante, per me rappresentava la salvezza. Mia padre sorrideva e mi prendeva in giro dicendomi che da seicento anni quei leoni erano lì e non avevano mai sbranato nessuno; senza sapere che questa loro secolare permanenza in quel luogo era per me fonte di un ancor più irrazionale e misterioso terrore. Del resto mio padre era aduso ai miei timori infantili. Quando andavamo al cimitero, già davanti al cancello d’ingresso mi stringevo a lui, tirandolo per la giacca verso il centro del viale, dove saremmo stati piuttosto lontani dai guardiani delle cappelle private. Che ci stavano a fare, intorno a  quelle cappelle, sfingi, rapaci e soprattutto leoni con tanto di testa e criniera – mi veniva spontanea la deduzione che risoluti passanti non si fossero peritati di staccare con un colpo di spada la testa dei leoni di Santa Caterina -, se non per incutere timore ai visitatori? Mio padre mi spiegava che si trattava di statue inoffensive, ornamento delle tombe di famiglie ricche, quelle che ottant’anni prima avevano traslato i morti nel nuovo cimitero, mentre i poveri erano rimasti nel vecchio cimitero in via di Collemeto, a marcire. Anche in questo caso, passavo oltre incolume, credendo ogni volta di averla fatta franca.

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