Eppure sanno TUTTO quello che c’è da sapere, per rispondere. Hanno tutte le informazioni, ma non sono in grado di assemblarle e di farle diventare conoscenza. Per rispondere bisogna sapere l’apparato digerente, il circolatorio, il respiratorio, il metabolismo cellulare, l’escretore e un pochino di sistema nervoso e endocrino. Nei programmi scolastici ci sono, ma quasi nessuno è in grado di mettere assieme i pezzi e di farli funzionare. Ci metto dieci minuti a spiegarlo. Capiscono perché hanno già studiato tutte quelle cose, ma per la prima volta comprendono la pipì: l’informazione diventa conoscenza. Scoprire di non sapere come funziona il proprio corpo li fa sentire truffati. Ho fatto tutta questa fatica sui libri e mi mettono in crisi con una domandina sulla pipì? Faccio questa domanda anche ai festival della scienza a cui partecipo, alle conferenze che faccio in tutta Italia. Sono pochissimi ad alzare la mano e, ovviamente, sono quelli “del mestiere”. Studiare cose per memorizzarle, senza avere contezza piena del loro significato, atrofizza i cervelli e forma docili automi che non fanno domande ma danno solo risposte. Per insegnare in modo efficace bisogna avere ben chiaro che l’ontogenesi della conoscenza ne deve ricapitolare la filogenesi. Chiaro, no? L’ontogenesi è il processo di formazione di un organismo dall’uovo fecondato all’adulto. La filogenesi, invece, è il processo evolutivo che ha portato ad una specie attraverso una serie di “antenati”. Ernst Haeckel teorizzò che nello sviluppo di un organismo si ricapitoli la filogenesi della specie a cui appartiene. Così, durante lo sviluppo embrionale, noi ripercorriamo la nostra evoluzione e siamo prima pesci, con aperture branchiali, e poi anfibi e rettili, e poi uccelli, e poi mammiferi e finalmente umani. Von Baer spiegò che questa “legge” (che Haeckel chiamò biogenetica) non funziona e propose interpretazioni alternative. Ma per la cultura, secondo me, la legge biogenetica funziona. Come è nata la cultura? Quale è la sua filogenesi? Semplice: la cultura inizia con lo studio di animali e piante. Le pitture rupestri del paleolitico mostrano animali: eravamo cacciatori e raccoglitori e dovevamo saperne di piante e animali. I giovani esemplari della nostra specie sono attratti da tutte le forme di vita e hanno ansia di conoscerle, durante l’ontogenesi della loro cultura. Vengono mostrate, in forma spettacolarizzata, nei programmi televisivi sulla natura e l’intento è quello di far esclamare ohhh! ma non si passa mai ad ahhh!, a capire davvero. E queste cose nella scuola non ci sono. I bambini tornano a casa da scuola e non conoscono i nomi degli alberi che incontrano. Non parliamo di animali. Il linguaggio complesso è arrivato dopo, per non parlare dei teoremi. Se ai bambini vengono date le conoscenze (non le nozioni) adeguate, si appassionano e arrivano anche a voler imparare la matematica e le poesie. Perché anche queste cose sono bellissime. Ma devono venire DOPO. Invece il PRIMA non viene dato e arriva subito il DOPO, e viene somministrato a compartimenti stagni (le materie). È per questo che la scuola è noiosa. L’apprendimento deve essere induttivo: prima viene l’esperienza e poi la si generalizza. È così che impariamo a parlare: applichiamo le regole senza conoscerle. DOPO, siamo pronti a recepirle, perché già sono nostre. Ma imparare le declinazioni a memoria, senza mai spiccicare una parola, è un esercizio da buoi. Non vi dico cosa mi rispondono quando chiedo la differenza tra il bue e il toro. Qualcuno mi ha detto che il bue è il maschio della mucca e il toro è il maschio della vacca. Se dico che il buo è un toro castrato molti/e confondono la castrazione con l’evirazione. E mi tocca fare il disegnino alla lavagna… Però sanno, a memoria, che il DNA è fatto da adenina, timina, guanina e citosina.
[“Il Fatto Quotidiano” online del 2 settembre 2020]