Un missionario nella Cina dei Ming

Il gesuita salentino, quando sceglie di andare in missione indica ai suoi Superiori il Giappone come la terra preferita, ma viene destinato alla Cina su indicazione di Matteo Ricci, con il quale instaura un rapporto di collaborazione molto stretto, tanto da diventare il suo primo biografo e di fatto il suo erede dopo la morte (1610). A Pechino il de Ursis acquista fama tra i mandarini come divulgatore scientifico, si distingue anche come architetto e astronomo, tanto da essere considerato “un uomo dai mille talenti”, come lo definiscono gli autori del libro. Scrive opere innovative sulla sfera armillare, sul quadrante geometrico e sull’idraulica occidentale, ma il contributo più importante resta quello sulla riforma del calendario cinese per il quale riceve pubblici attestati di benemerenza da parte dell’Imperatore. A Pechino rimane sino al 1617 quando, scoppiata la persecuzione di Nanchino, viene espulso, riparando prima a Canton e poi a Macao, dove muore il 3 maggio 1620.

Francesco Frisullo e Paolo Vincenti ricostruiscono questo itinerario biografico partendo dalla controversa questione del luogo di nascita del gesuita, spesso genericamente indicato in Lecce, altre volte nel Salento e altre ancora in Napoli. Con documenti inoppugnabili forniscono la prova provata di Ruffano, chiudendo una querelle che è rimasta aperta per troppo tempo. Una precisazione che aiuta gli autori a sgombrare il campo da incertezze e da ambiguità, focalizzando l’attenzione sulla formazione del gesuita e individuando in Napoli, in Roma, e in Coimbra i luoghi dove il giovane matura le sue esperienze di studio più importanti, prima di imbarcarsi da Lisbona per Macao.

Il viaggio avventuroso per la Cina dura molti mesi, lasciando tracce non trascurabili sul suo fisico, ritenuto, forse non a torto, poco idoneo a sostenere l’impegno missionario. Alla scuola di Matteo Ricci si corrobora, recuperando forza e vitalità, esercitandosi nell’arte cosiddetta dell’“accomodamento”, che consente ai gesuiti di diventare familiari ai cinesi. Il de Ursis diventa il biografo di Matteo Ricci, ma dissente dal maestro quando questi privilegia la comunicazione tecnico-pratica a scapito di quella evangelica, che resta prioritaria.

La ricerca di Frisullo e Vincenti, ben costruita con organici e puntuali riferimenti al contesto culturale del tempo, appare solidissima sul piano dell’esplorazione bibliografica, ma il macro contesto esplorato dal libro è proprio quello delle missioni degli scienziati gesuiti in Cina, fra XVI e XVII secolo, nel quale si inseriscono poi, via via che si procede nella narrazione, le notizie relative alla figura e alle opere di de Ursis. La puntigliosità con la quale si forniscono riferimenti archivistici e bibliografici e ampi stralci delle opere a stampa dell’epoca, in primis le lettere dei vari missionari, è certamente dovuta all’intento degli autori di fornire una panoramica ampia ad un pubblico eterogeneo, non necessariamente costituito dagli orientalisti ed esperti della materia, i quali invece potranno, se vorranno, trovare nella lettura del libro spunti validi per approfondire determinate piste qui in nuce. Certamente la fatica degli autori è meritoria e prospettica e tornerà di grande utilità ad altre iniziative scientifico-editoriali che si vorranno realizzare in questo centenario della morte su una figura di gesuita e di scienziato ancora da ricostruire nella sua completezza, ma in questa sede ben delineata e ben raccontata, per assicurare una proficua stagione di studi.

[Prefazione a Francesco Frisullo – Paolo Vincenti, L’APOSTOLATO SCIENTIFICO DEI GESUITI NELLA CINA DEI MING. Il missionario salentino Sabatino de Ursis, Giorgiani Editore, Castiglione (LE) 2020]

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