Ma lasciamo il terreno della musica. Fino a quando l’osservazione di Parente rimane l’osservazione musicale (limitata all’analisi di una sola composizione) essa non manifesta ancora la sua importanza per la filosofia. Per trasformarla in strumento concettuale della filosofia bisogna intraprendere le grandi spedizioni scientifiche verso i terreni non esplorati, esaminare le “ripetizioni” nelle opere poetiche e nelle opere filosofiche, nella nostra vita e nella vita delle nostre opere. Un’investigazione approfondita condurrà alla conferma della grande scoperta di Eraclito, che non si entra due volte nello stesso fiume, poiché né le sue acque rimangono identiche a quelle di allora, né l’uomo che entra per la seconda volta rimane identico a quello che entrava per la prima volta.
Ho detto che le “ripetizioni” le troviamo anche nei capolavori, non per caso ho ricordato la Sinfonia pastorale. Vorrei “ripetere” ancora una volta che per la mia sensibilità questa sinfonia si trova proprio in cime a tutte le “meravigliose opere umane”. Anzi, da settanta anni quando pensando, parlando o scrivendo, ricordo questo concetto, la sinfonia di Beethoven segnala la propria presenza come la prima associazione o esemplificazione (senza diminuire la mia ammirazione per le composizioni di Mozart e Chopin).
M’interessa pure la vita di questa sinfonia e le forme della sua presenza nella cultura. Sappiamo che la prima esecuzione ebbe luogo a Vienna il 22 dicembre 1808, duecento anni fa. Nella storia di forme della sua bisecolare presenza nella cultura c’è un fatto dell’anno 1940 di particolare importanza problematica che ha costretto tutti gli ammiratori di Beethoven a ripensare e a definire la propria posizione verso una inaudita novità: la prima “proiezione della opulenta suite cromo-sonora di Walt Disney che, sotto il titolo di Fantasia, giunse in Italia, circa nel 1946, con un ritardo di sei anni, e dette luogo a impressioni e apprezzamenti disparatissimi e più frequentemente – bisogna dirlo – a giudizi sfavorevoli fino al dispregio” (Parente, pag. 101). “Un clamoroso scandalo scoppiò”, si gridava che “il sacrilegio fosse stato commesso” (Parente: Colori e suoni in “Fantasia” di Walt Disney, op. cit., pag. 101).
Trovandomi, dal novembre 1946 al maggio 1947 a Milano, ho visto questo film e penso che vale la pena di confrontare i miei pensieri con quelli di Parente. Non ci siamo ancora conosciuti, non potevamo farlo nel 1947, ma lo abbiamo fatto nel 1976, sorpresi dell’affinità del nostro apprezzamento dell’incontro tra Disney e Beethoven.
Il saggio di Parente sulla Fantasia di Disney sviluppa tre pensieri.
Primo, la “legittimità estetica”: “l’accordo di un’immagine musicale con una figurazione pittorica non soltanto non è niente di assurdo e di artificioso, ma risponde semplicemente a quella spontanea virtù inventiva e metaforica che […] si afferma come fantasia creatrice infrangendo continuamente ogni limite e ogni schema” (pag. 102).
Secondo, i capolavori non sono condannati all’esistenza immobile e immutabile ma sono creati appunto per “vivere”, cioè per essere inseriti nelle “sintesi nuove”. Inserimento della musica beethoveniana “nel senso nuovo che essa acquista attraverso l’accostamento, attraverso il rapporto […] con altri mezzi espressivi”. In tal modo essa “si allarga, si accresce […], si trasfigura, proprio perché […] il nuovo artista crea un mondo diverso di riflessi, di accordi, di echi, d’interferenze, di urti anche, nel quale il vecchio mondo rinasce riplasmato” (pag. 104).
Terzo, Disney non ha commesso sacrilegio. “Egli è entrato nel mondo beethoveniano con commossa meraviglia, e quel mondo di suoni rifiorisce in lui visivamente con una spontaneità che si può dire necessità. E il potere suggestivo dei suoi nuovi accordi è tale che certi temi e passaggi della Sesta non tornano più nella nostra memoria senza richiamare l’incancellabile riflesso delle immagini disneyane” (pag. 106).
Sono gli stessi pensieri che ebbi io guardando ed ascoltando la Fantasia di Disney, ma Parente li ha inseriti nel saggio pubblicato nella “Rassegna Musicale” (anno XVII del 1947, f. 4) ed io fino ad oggi non ho avuto l’occasione di esprimerli.
La difesa di Disney è tanto giusta, profonda e bella che si potrebbe sostenere che il cuore del libro di Parente batte proprio nelle pagine 102-106, ma vorrei osservare che questi pensieri sviluppano lo stesso pensiero sulla “ripezione” (che si trova a pag. 278).
Dal 1947, grazie a Walt Disney, la Sesta sinfonia di Beethoven non è più la Sinfonia pastorale, ma la Sinfonia Olimpica, la raffigurazione musicale del Panteone Antico cioè della Repubblica delle Muse.
[“Presenza taurisanese” anno XXXVIII n. 8/9 – Agosto-Settembre 2020, p. 8]