Di mestiere faccio il linguista 12. Il linguaggio della cortesia (1)

La cortesia non è una qualità o una scelta meramente individuale, è un fenomeno sociale. Nei più disparati contesti storici e in forme molto diverse, ogni società deve trovare il modo per risolvere la tensione tra l’impulso biologico del singolo individuo ad affermare sé stesso e l’esigenza di convivenza generale. Ogni società si propone di attenuare o eliminare i pericoli della conflittualità tra gli individui. Decisiva è la cortesia che, in forme variabili nelle differenti culture, abbraccia un’ampia gamma di sfumature, dipendenti in parte da valutazioni soggettive e in parte da norme socialmente condivise.

Si è cortesi (o scortesi) con i comportamenti, con gli atteggiamenti, con le espressioni del volto, con le parole. In tutte le lingue sono presenti locuzioni e formule verbali che tendono a minimizzare i rischi dell’interazione comunicativa e a mantenere l’equilibrio e l’ordine sociale. Il «linguaggio della cortesia» è l’insieme di strategie, norme e convenzioni verbali adottate da una comunità per contenere i conflitti interni e per favorire l’armonia nei rapporti tra i soggetti. L’accordo è regolato da fattori quali la distanza sociale tra gli interlocutori, i rapporti di potere o di solidarietà, il grado di familiarità, la partecipazione affettiva, il coinvolgimento emotivo. In relazione ai diversi contesti cambiano le scelte linguistiche attraverso cui si manifesta la cortesia, che prevede un insieme di forme e di modi estremamente vasto ed eterogeneo.

In ogni situazione comunicativa è fondamentale la relazione tra chi parla o scrive e l’interlocutore. Più ancora dell’argomento e del contenuto del dialogo, è decisiva la modalità dell’interazione, che si avvale di fenomeni non verbali (gesti, movimenti, interposizione di distanza) e di espressioni linguistiche. Il grado di potere reciproco tra gli interlocutori può essere equilibrato o squilibrato: si ha asimmetria quando uno degli interagenti ha (o ritiene di avere) maggiori potenzialità comunicative degli altri, ad esempio decide autonomamente di aprire e chiudere la conversazione o si sente in condizione di dare ordini. La dimensione della conoscenza reciproca determina la distanza tra gli interlocutori, che non è fissata una volta per tutte, ma può essere allargata o ridotta: ad esempio dicendo, a seconda del casi, «mi dia del lei» o «diamoci del tu». Si ha parità quando tutti gli interagenti si riconoscono in condizioni di reciprocità e di pari prestigio.

Nel sistema della comunicazione di cortesia veicolata attraverso la lingua è centrale l’allocuzione, l’atto con cui un parlante o scrivente si rivolge si rivolge direttamente ad un’altra persona. Nell’italiano contemporaneo il sistema allocutivo cortese si realizza con l’uso adeguato di nomi, di aggettivi e di pronomi. Vediamo qualche esempio.

Nella nostra lingua si sono ormai stabilizzati alcuni appellativi associati a determinate cariche o figure professionali di particolare rilevanza (Telve, «Appellativi e epiteti», in «Enciclopedia dell’italiano»): «(Sua) Altezza» (re, regina, principe, principessa); «(Sua)Maestà»(re e regina); «(Sua) Eccellenza» (vescovo o alto prelato, prefetto, questore); «(Sua)Santità» (papa, dalai lama, altre massime autorità religiose); «(Sua) Eminenza» «Eminentissimo» (cardinale, capo religioso); «Magnifico» (rettore e rettrice); «Chiarissimo» (professore e professoressa universitari); «Monsignore» (vescovi, prelati, patriarchi); «Don» (qualsiasi ecclesiastico); «Reverendo» (esponente cattolico o protestante); «Dottor(e)» (magistrato, magistrata e qualsiasi laureato); «Onorevole» (deputato e deputata, senatore e senatrice). Più comunemente, nella comunicazione quotidiana, specie per iscritto (ma anche nell’oralità), se vogliamo essere cortesi, l’appellativo può essere accompagnato da un aggettivo come «caro», «gentile», «egregio», «distinto», «pregiato», «illustre»; se ci si indirizza a un’azienda o a un ufficio si usa «spettabile». All’aggettivo di cortesia segue abitualmente il titolo generico, che non andrebbe mai dimenticato: «signore»; oppure, quando è possibile, segue il titolo professionale «avvocato», «ingegnere», «direttore», «caporedattore». Se si è in familiarità, dopo l’aggettivo viene il nome: «caro Rosario» (più distante, anche se non si traduce in un atto di scortesia, la formula con il cognome: «caro Coluccia»). A volte l’aggettivo si ripete per essere politicamente corretti: «care studentesse e cari studenti», «gentili signore e gentili signori», ecc.

Alcuni di questi aggettivi possono essere usati anche al superlativo: «carissimo», «gentilissimo», «pregiatissimo», «illustrissimo». Si va diffondendo l’abitudine di iniziare una lettera (o una comunicazione collettiva) semplicemente con «carissimo», «gentilissimo», ecc. (o, se ci si indirizza a più persone, con «carissimi», «gentilissimi»), senza ulteriore qualifica. Personalmente trovo questa abitudine fastidiosa, al limite della scortesia: fingo che tu sia per me carissimo o gentilissimo, ma non riesco neppure a chiamarti per nome o cognome, o a darti il titolo che ti spetta, o almeno a qualificarti come signore.

 Se accompagnato dall’aggettivo possessivo, «caro» può assumere sfumature ironiche, tra l’amaro e il paternalistico («Questa è la politica, caro mio»). La sfumatura ironica è evidente nell’uso di altri allocutivi, ad esempio «bellezza»: «È l’economia, bellezza, e tu non puoi farci niente» titola un giornale. Dietro c’è lo slogan «It’s the economy, stupid!» (‘È l’economia, stupido!’) ideato per la campagna elettorale di Bill Clinton durante le elezioni presidenziali del 1992, una delle pietre miliari della comunicazione politica americana. È un caso limite, un’offesa diventa slogan positivo. Alcuni allocutivi possono andar bene in un certo contesto ma sono rifiutati in ambiti diversi. Un allocutivo come «profe», rivolto dagli studenti universitari bergamaschi indifferentemente a professoresse e a professori, è sconosciuto in quasi tutte le altre università o, nei pochi casi in cui è noto, è giudicato dagli stessi studenti non appropriato e non rispettoso del ruolo. Quindi scortese. Praticare la cortesia non è sempre facile.       

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 30 agosto 2020]

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