di Rosario Coluccia
La parola «cortesia» nel Medioevo indica ‘raffinatezza di modi e nobiltà di sentimenti, caratterizzati da valore, lealtà e munificenza’. Nella concezione cavalleresca dell’epoca la cortesia era caratteristica della vita di corte, nella quale agivano armoniosamente il sovrano con la sua famiglia e il gruppo di funzionari, dignitari, militari, addetti all’amministrazione e al servizio dei regnanti. Meravigliosa fu la corte itinerante di Federico II, il grande imperatore definito “stupor mundi” (‘stupore del mondo’) che, con anticipo sui tempi, cercò di costruire uno stato meridionale moderno, non subordinato all’autorità papale, aperto all’integrazione di culture e di fedi diverse (diremmo laico, anche se la parola è eccessiva). Alla sua corte furono intrinsecamente legati i Poeti della Scuola siciliana, movimento che ha fondato la nostra tradizione poetica (l’unica edizione commentata esistente è uscita, in tre volumi, nei Meridiani di Mondadori nel 2008). Nelle poesie di quei rimatori la parola cortesia ricorre spesso. La donna amata da Rinaldo d’Aquino, uno degli autori più antichi, «valore ha ’n sé e presiata cortesia» ‘possiede valore e pregiata cortesia’. Giacomo da Lentini, il caposcuola, non apprezza chi «per coverta tal fa cortesia», cioè chi ‘per pura apparenza, fa una simile cortesia’ («per coverta» significa ‘per pura apparenza’, ‘solo per facciata’); in sostanza, il poeta denuncia l’ipocrisia di una cortesia dettata da opportunismo (la cortesia dev’essere sincera, per valere davvero). Questa parola-chiave della civiltà medievale assunse poco alla volta un significato più modesto, quotidiano, vicino al nostro: ‘gentilezza di modi’, ‘urbanità’, ‘garbo’, ‘generosità’. Il nuovo significato, meno impegnativo rispetto al primo, è in Dante. Nel canto 33 dell’«Inferno» Dante rifiuta di acconsentire alla preghiera che gli rivolge frate Alberigo, un dannato che si è reso colpevole di un orribile tradimento, rifiuta di aprirgli gli occhi velati dalle lacrime congelate, vera crosta di ghiaccio che impedisce al traditore financo di sfogare il dolore opprimente; e commenta «cortesia fu lui esser villano» (cioè ‘fu gesto di cortesia essere villano’ con un tale spregevole essere).