Quel Salento tra memoria, mito e suggestione

Scene, immagini, simboli, metafore, suggestioni. Un Salento come centro del mondo e, allo stesso tempo, come periferia infinita, solitudine irrimediabile, esilio cercato o subito.

Il Salento come luogo dell’anima, luogo da cui si parte ed a cui si ritorna: comunque si ritorna, anche se soprattutto nella memoria, anche se soltanto nella memoria.

Una terra raccontata in lontananza da uno che girava il mondo: Portogallo, Spagna, Guatemala. Scrivere i frammenti che compongono il libro era per lui un modo di tornare, continuamente.

“Secoli fra gli ulivi” è un libro fuori dal tempo. Perché Manno così lo voleva: scontornato, senza vincoli di riferimenti; un luogo proveniente dalle immagini frante di un dormiveglia, dai sussulti   dell’emozione, dalla tenue ombrosità del  mito; una proiezione fantastica.

Chissà se Fernando Manno ha mai avvertito il desiderio che quel suo libro diventasse un classico.

Probabilmente non esiste scrittore che sia così arrogante o così ingenuo da osare un pensiero come questo. Probabilmente non esiste scrittore che si permetta la dissipazione delle energie che comporta il pensiero dei posteri.

Però quel libro di Manno il profilo del classico ce  l’ha: il profilo di un classico salentino. Perché racconta una terra che ha la fissità dell’immutabile, in contrasto con le mutazioni che  si verificavano nel tempo in cui veniva scritto, con quelle rapidissime che si sono verificate dopo, con quelle vorticose che si vanno verificando ogni giorno.

Il Salento di Manno è un’esperienza della fantasia che s’introduce nella dimensione della memoria e rielabora i ricordi. E’ una condizione figurale che matura nei territori della Storia per poi prendere i sentieri che conducono verso il mito e la leggenda. E’ la ricerca della bellezza pura, emblematica, assoluta.

La prosa lirica costituisce la traduzione stilistica di un’idea incantata e poetica  del Salento. Una scrittura tramata di immagini,  evocazioni, di oggetti che si caricano di valenza simbolica, di intuizioni e percezioni che hanno la loro radice negli elementi della natura, della cultura, della geografia, dell’antropologia, del linguaggio,  di  richiami provenienti dal paesaggio.

Italo Calvino diceva che è classico “ ciò che resiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona”. 

Il Salento di “Secoli fra gli ulivi” è incompatibile con l’attualità. Ma resta come rumore di fondo; forse in questo caso resta come espressione di un’idea mitica della terra, di un sentimento nei confronti di essa che, per affetto, vorrebbe quasi tenerla al riparo dall’attualità, cristallizzarla in una sfera incantata  e incontaminabile, trasformarla in un souvenir che conduce il pensiero in un luogo fatato dell’intimità. L’attualità del tempo in cui venne scritto si propone come una interferenza nella natura del  fiabesco. “Il moto, l’indistinto, l’ansioso”, scrive Manno.  Il rumore. “ Radio a tutto volume, scappamento aperto”. 

E’ un Salento extratemporale, quello di Fernando Manno. L’effetto di una meraviglia.  Forse anche l’oggetto di un desiderio indefinito. Un locus amoenus, una penisola ideale, una sorta di figurazione dell’origine. E’ la seduzione di una fantasia. Ma, prima di tutto e dopo di tutto,  è il luogo in cui l’esistere comincia ad un certo punto, in cui l’esistere finisce, ad un certo punto, tra le cose e le storie che sono nostre “per transito umano, da prima che nascessimo e nelle generazioni dei figli, nostro da sempre e per un attimo nel tempo fra gli ulivi dal quale venimmo. Al quale ammaliati di vita, morendo, ci riconsegneremo”.   

In questo modo finisce il libro di Fernando Manno. Con queste parole il cui significato attraversa  ogni tempo della terra e quindi è  incompatibile con qualsiasi attualità. Come un classico, dunque.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 23 agosto 2020]

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