di Antonio Errico
C’è un punto del tempo in cui un libro comincia ad essere considerato un classico. A volte si riesce a capire quale sia il motivo; qualche volta il motivo resta misterioso. Ma da quel punto del tempo in poi quel libro sarà un classico, per sempre.
Anche se succede che lo spessore della relazione con il lettore si riduca, che la corrispondenza dei suoi significati con i contesti cultuali si offuschi. Comunque resta un classico.
Poi ci sono libri per i quali quel punto del tempo in cui si diventa un classico non arriva mai. Eppure non hanno un livello stilistico e semantico inferiore a quello degli altri. Semplicemente non arriva, anche in questo caso per motivi che talvolta restano misteriosi, come la fortuna. Succede in ogni tempo e in ogni luogo: quindi anche in Italia, quindi anche in Salento. Vorrei fare un esempio: “Secoli fra gli ulivi” di Fernando Manno: il suo primo libro; il suo ultimo libro. Per scriverne altri non ebbe il tempo.
(Se c’è un merito che mi riconosco è quello di essere stato uno studioso di Fernando Manno. Ma questo riconoscimento è rattristato dal rammarico di essere rimasto l’unico, purtroppo.)
Eppure quel libro, uscito nel ‘58, un anno prima che Manno morisse, a 53 anni, rappresenta in prosa quel Salento poetico dal quale il nostro immaginario, consapevolmente o inconsapevolmente, è costituito.
Un Salento che assume nuclei di riferimenti dalla realtà e li trasforma in rappresentazioni sfumate, come se fossero inventate, come se fossero fondali di scena abbandonati nel retropalco di un vecchio dismesso teatro. Paesaggi e figure coinvolti in oscillazioni di ombre. Un luogo magico, l’esito di un incantesimo. Il Salento come Storia che sconfina nella fiaba. Una fiaba come maglia sfuggita al tessuto della Storia.